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Archive for the ‘aiuti alle banche’ Category

Ci hanno riprovato: il legittimario leso potrà restare senza una tutela “reale”

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 13 ottobre 2025

Questo sarà l’effetto delle modifiche introdotte dagli stessi politici che quotidianamente parlano di tutela dei valori della famiglia e della proprietà. Un altro regalo alle banche?

Ci hanno riprovato. E, ancora una volta, senza un effettivo e specifico dibattito che sarebbe stato opportuno -per non dire necessario- prima di modificare quelle disposizioni che, poste da oltre 80 anni a salvaguardia dei diritti dei legittimari 1, costituiscono norme fondamentali della disciplina delle successioni la cui ratio e funzione sono anche la protezione della famiglia nonché dei diritti e delle aspettative dei più stretti familiari del donante. Due anni fa, nel disegno di legge di bilancio 2024 2, il Governo aveva inserito alcune disposizioni che, di fatto, avrebbero vanificato la tutela dei legittimari lesi nella loro quota di legittima. Si prevedeva, in sostanza, la modifica degli articoli 561 e 563 del codice civile, il primo dei quali dispone (sin dall’entrata in vigore del codice civile) che, in caso di accoglimento dell’azione di riduzione, i beni debbano essere restituiti liberi da pesi e vincoli (anche nell’ipotesi in cui siano stati, nel frattempo, alienati a terzi, sia pur con alcuni oneri, introdotti nel 2005, che il legittimario deve aver adempiuto)3 4. Con le modifiche introdotte nel disegno di legge di bilancio 2024, l’esecutivo avrebbe voluto, invece, non solo rendere non restituibili i beni che il donatario avesse, nel frattempo, trasferito a terzi (con conseguente ed immaginabile danno per il legittimario qualora il donatario fosse divenuto insolvente e non avesse potuto restituire l’equivalente valore in denaro), non solo “sanare” ipoteche o altri pesi di cui il bene fosse stato, nel frattempo, gravato (con immaginabili vantaggi anche per banche), ma avrebbe inteso rendere tali modifiche valide retroattivamente visto che ne veniva disposta l’entrata in vigore a partire dalle successioni aperte dopo il 1° gennaio 2024 piuttosto che alle donazioni trascritte dopo tale data. All’indomani della presentazione al Senato del ddl bilancio, scrivevo alcune considerazioni su questo blog (si può leggere cliccando qui) manifestando, oltretutto, alcuni dubbi in merito alla compatibilità della data di entrata in vigore del nuovo testo normativo con il principio generale dell’irretroattività della legge, della certezza del diritto e dell’affidamento protetti dalla CEDU oltre che dalla Costituzione e dalle disposizioni sulla legge in generale. Tornai sull’argomento dopo qualche settimana in seguito alla notizia dello stralcio delle disposizioni in quanto ritenute estranee al contenuto del disegno di legge bilancio (leggi qui).

Esattamente due anni dopo, il Governo, come dicevo all’inizio, è tornato a riproporre le stesse, identiche modifiche e, si può dire, con modalità analoghe: non in uno specifico disegno di legge -con cui, magari, avrebbe potuto disciplinare diversamente le altre norme sulle successioni e sulla famiglia (in modo da rendere, le modifiche introdotte, compatibili con una nuova disciplina) o introdurre alcuni strumenti cautelari a salvaguardia del credito dei legittimari- bensì, nel cosiddetto “ddl semplificazioni 2025”, ossia, in un “disegno di legge contenitore” con norme del più diverso contenuto, collegato alla legge di bilancio e che, in teoria, a quest’ultima dovrebbe dare attuazione e “servire” (e non, dunque, a introdurre disposizioni che non si limitano a “semplificare”, bensì, si spingono a sovvertire una disciplina che, per oltre 80 anni, ha tutelato i legittimari e contribuito ad assicurare ai più stretti familiari del donante una minima parte del suo patrimonio o l’equivalente valore in denaro).

E’ sufficiente confrontare il testo delle disposizioni che erano state inserite all’art. 13 del ddl bilancio 2023 (cliccare qui) con l’art. 44 del ddl semplificazioni, approvato in prima lettura al Senato l’8 ottobre 2025 (si può leggere qui), per rilevare che il testo è del tutto identico a quello che si era preferito stralciare: l’esecutivo, in sostanza, “ci ha riprovato”, con le stesse modalità, in sordina, ma, questa volta, ha trovato l’approvazione (in prima lettura) dei Senatori. Verrebbe quasi da sorridere, oltretutto, leggendo il “dichiarato fine”, ossia, quello di agevolare il traffico dei beni donati e consentire l’accesso al credito mediante la garanzia costituita dagli stessi beni 5: il “nobile fine”, secondo l’esecutivo, dovrebbe essere, in sostanza, quello di consentire, da una parte, a colui che ha ricevuto donazioni lesive della quota riservata agli altri familiari di poterli vendere o concederli in garanzia per ottenere credito e, dall’altra parte, a chi li ha acquistati o a chi ha accettato l’iscrizione, in proprio favore, di una garanzia (ad esempio, un’ipoteca) di non temere di doverli restituire liberi da ogni peso o vincolo al legittimario risultato vittorioso all’esito di un’azione di riduzione 6. In sintesi, la “semplificazione” dovrebbe consistere nell’agevolare la “circolazione” del bene donato e poi rivenduto a scapito dei familiari del donante la cui quota di legittima sia stata lesa: ciò con evidente vantaggio, oltre che del donatario, di banche o aziende creditizie che potrebbero confidare nella “bontà” e sicurezza del bene offerto in garanzia. Viene da chiedersi, allora: ma i partiti o leader che, da anni e “per tradizione”, hanno fatto e continuano a fare della tutela della famiglia, della proprietà e dell’ordine pubblico i principali temi di eterne campagne elettorali, sono gli stessi che hanno proposto e continuano a introdurre queste modifiche? Per quale ragione, ogni volta, lo hanno fatto in provvedimenti normativi non preceduti da uno specifico e approfondito dibattito e, soprattutto, senza informare i cittadini di quali possano essere le conseguenze di modifiche così importanti di norme, vigenti da oltre 80 anni, che costituiscono il fulcro della disciplina delle successioni con ripercussioni anche sugli equilibri di famiglie oltre che possibili danni patrimoniali ai componenti? Quale sarebbe, poi, “l’ampio dibattito” che vi sarebbe stato -secondo quanto si legge nella relazione al ddl in Senato? Quale sarebbe la tutela del credito che -sempre secondo quanto si legge nella medesima relazione- verrebbe assicurata al legittimario pretermesso? Quale garanzia, in concreto, potrebbe avere quest’ultimo qualora il donatario nel frattempo fosse divenuto insolvente (o facesse in modo di risultare tale) ? Non è credibile che Ministri e Parlamentari non sappiano che una cosa è garantire il diritto di credito in astratto e altra è la realtà di fronte alla quale il legittimario pretermesso può venirsi a trovare. Dalla lettura del testo, sembrerebbe che la tutela sia solo “in astratto” e la quota di legittima non sarà più concretamente tutelata: al legittimario resterà un credito nei confronti del donatario che abbia trasferito a titolo oneroso un bene ad un terzo ma qualora, dopo l’apertura della successione e in seguito all’azione di riduzione, dovesse risultare “nullatenente” o il proprio patrimonio dovesse risultare incapiente, il familiare del donante rimarrà “fregato”.

Si è consapevoli che le modifiche introdotte dall’Esecutivo e recentemente approvate in prima lettura al Senato sono state già oggetto, in passato, di proposte da alcune categorie di professionisti e non si può escludere, in astratto, che possano ritenersi opportune: la modifica di norme inserite in una disciplina così importante e fondamentale nell’ordinamento di un Paese e di uno Stato di diritto (quale quella, in questo caso, delle successioni) non potrebbe e non dovrebbe prescindere, però, dal più approfondito e specifico dibattito sia in Parlamento sia tra gli studiosi del diritto civile (in particolare, di diritto successorio e di diritto di famiglia) e, soprattutto, dalla completa informazione ai cittadini i quali potrebbero avere interesse a sapere che, con le modifiche che si vorrebbe introdurre nell’ordinamento, qualora avessero donato o volessero donare un bene e un familiare “legittimario” dovesse, in futuro, risultare leso nella propria quota legittima, la propria scelta potrebbe danneggiare quest’ultimo il quale non potrà avere la restituzione del bene né il corrispondente valore in denaro.

E’ auspicabile, allora, che durante l’esame della Camera dei Deputati vi sia una profonda ed attenta riflessione: si stralcino le disposizioni in vista di un maggiore approfondimento con specifico e autonomo disegno di legge che preveda, magari, una tutela concreta del legittimario oppure, si introducano emendamenti tali da garantire in concreto il legittimario pretermesso, oppure, ancora, si disponga l’applicabilità delle nuove disposizioni a partire dalle donazioni (e non dall’apertura delle successioni) trascritte successivamente all’entrata in vigore delle modifiche. Solo in quest’ultimo modo, oltretutto, si tutelerebbe la piena coscienza e volontà, l’animus del donante (che potrebbe aver confidato nella tutela del legittimario pretermesso ad oggi tutelato dall’ordinamento) nonché le aspettative e i legittimi interessi e diritti di quest’ultimo. Altrimenti, si abbia il coraggio di una riforma più coerente: siano abrogate del tutto le norme che prevedono la riserva della quota legittima. Il testo del ddl semplificazioni, allo stato, non lascia comprendere quale funzione e significato possa continuare ad avere la riserva della quota legittima se esposta al pericolo di definitiva perdita in conseguenza di atti di alienazione da parte del donatario il cui patrimonio difficilmente risulterebbe aggredibile.

  1. ossia, le persone lese dalla quota di legittima, cioè quella che l’ordinamento riserva ad alcuni dei familiari e che, se donata o oggetto di disposizione testamentaria, deve essere restituita ↩︎
  2. Ddl 926 «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026» presentato dal Ministro dell’economia e delle finanze (GIORGETTI) ↩︎
  3. L’art. 561, primo comma, dispone, infatti (nel testo risultante alla data in cui si scrive il presente post): “Gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il legatario o il donatario può averli gravati, salvo il disposto del n. 8 dell’art. 2652. ((I pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione. Le stesse disposizioni si applicano per i mobili iscritti in pubblici registri)).”, ↩︎
  4. Art. 563 cod. civ. nel testo vigente alla data in cui si scrive il presente post: “Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla ((trascrizione della))
     donazione, il legittimario, premessa l’escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell’ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.

    L’azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l’ordine di data delle alienazioni, cominciando dall’ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta, entro il termine di cui al primo comma, la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede.

    Il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in danaro.

    Salvo il disposto del numero 8) dell’articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all’articolo 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario ((e dei suoi aventi causa))
    , un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell’opponente è personale e rinunziabile. L’opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione
    ↩︎
  5. Si legge, all’art. 44 del ddl semplificazioni (Atto Senato n. 1184) approvato al Senato l’8 ottobre 2025: “Al fine di stimolare la concorrenza nel mercato immobiliare e delle garanzie, agevolando la circolazione giuridica di beni e diritti provenienti da donazione e acquistati da terzi, con conseguente maggiore semplicità e certezza dei rapporti giuridici oltre a più ampie e agili possibilità di accesso al credito in relazione ai medesimi beni ove costituiti in garanzia” (…) ↩︎
  6. Ecco, in sostanza, le principali modifiche che si vorrebbero introdurre così come risultano dal testo dell’art. 44 del ddl semplificazioni approvato, in prima lettura, al Senato e ora trasmesso alla Camera dei Deputati: (…) “a) all’articolo 561, primo comma: 1) al primo periodo, le parole: « o il donatario » sono soppresse; 2) il secondo periodo è sostituito dal seguente: « I pesi e le ipoteche di cui il donatario ha gravato gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione restano efficaci e il donatario è obbligato a compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni nei limiti in cui è necessario per integrare la quota ad essi riservata, salvo il disposto del numero 1) del primo comma dell’articolo 2652 »; 3) il terzo periodo è sostituito dal seguente: « Le stesse disposizioni si applicano per i pesi e le garanzie di cui il donatario ha gravato i beni mobili iscritti in pubblici registri »; 4) dopo il terzo periodo è aggiunto il seguente: « Restano altresì efficaci i pesi e le garanzie di cui il donatario ha gravato i beni mobili non iscritti in pubblici registri restituiti in conseguenza della riduzione e il donatario è obbligato a compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, nei limiti in cui è necessario per integrare la quota ad essi riservata »; b) all’articolo 562, le parole: « o se la restituzione della cosa donata non può essere richiesta contro l’acquirente » sono sostituite dalle seguenti: « o se ricorre uno dei casi di cui agli articoli 561, primo comma, secondo periodo, o 563 »; c) l’articolo 563 è sostituito dal seguente: « Art. 563. – (Effetti della riduzione della donazione) – La riduzione della donazione, salvo il disposto del numero 1) del primo comma dell’articolo 2652, non pregiudica i terzi ai quali il donatario ha alienato gli immobili donati, fermo l’obbligo del donatario medesimo di compensare in denaro i legittimari nei limiti in cui è necessario per integrare la quota ad essi riservata. Se il donatario è in tutto o in parte insolvente, l’avente causa a titolo gratuito è tenuto a compensare in denaro i legittimari nei limiti del vantaggio da lui conseguito.” ↩︎

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Con il ddl di bilancio, cancellata una norma dopo 80 anni. Con l’illusione (o il pretesto?) di voler favorire la circolazione dei beni, si calpesta la certezza del diritto. Un altro regalo alle banche?

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 31 ottobre 2023

Un altro regalone alle banche? Altro che tassa sui profitti! Sembra passata quasi inosservata la norma contenuta nel disegno di legge di Bilancio con la quale, dopo circa 80 anni, viene, di fatto, abolita l’azione di restituzione conseguente all’accoglimento della domanda di riduzione proposta dal legittimario leso nella quota “legittima” o, sicuramente, ne vengono vanificati gli effetti. Viene presentata come un’innovazione a tutela della libera circolazione dei beni. In uno Stato di diritto, laddove si ritenga di modificare un istituto o una norma, non si può ignorare il principio basilare che la legge non può e non deve disporre che per l’avvenire. Il testo della norma -in particolare, quanto disposto sull’applicabilità e sulla data di entrata in vigore- se intende garantire la sicurezza della circolazione dei beni, dovrà, probabilmente, resistere a eccezioni di costituzionalità e di conformità ai principi dell’affidamento e della certezza del diritto imposti anche dalla normativa comunitaria e dalla CEDU. Dubito, pertanto, sulla costituzionalità della disposizione inserita nel ddl di bilancio nella parte in cui sancisce l’applicabilità alle successioni aperte dopo l’1 gennaio 2024 piuttosto che alle donazioni disposte successivamente all’entrata in vigore della legge. Si intende ridurre il contenzioso giudiziale? Credo che la norma possa determinare, piuttosto, un inevitabile aumento delle azioni tese alla conservazione del patrimonio del donatario. Si avverte la sensazione che, per essere la norma così formulata (con un’efficacia retroattiva di sanatoria delle donazioni già effettuate), dopo la propaganda estiva “contra banche”, si sia quasi voluto “chiedere scusa” per la (finta) paura (simile più alla solita condotta del “chiagni e fotti”) con un bel regalone: la sanatoria delle ipoteche in favore di banche su beni eccedenti la quota legittima e lesive dei diritti dei legittimari lesi. Se così fosse, si confermerebbe molto deludente e contraddittorio il comportamento di chi, in perenne campagna elettorale, cerca, pubblicamente, “a parole” di attirare il consenso con una politica contro le uniche società che hanno fatto profitti miliardari ma, nella realtà, le favorisce mentre la gente comune lotta contro l’aumento dei prezzi e il caro mutui. La disposizione, cancellando dopo 80 anni una norma conforme all’ordinamento che protegge i legittimari, non è’ affatto un passo in avanti e non danneggia -questa volta- gli utenti bancari ma tutti i cittadini che credono e vogliono credere nella certezza del diritto. Si può, certamente, abrogare una norma o modificarla ma senza pregiudicare le aspettative o gli interessi o i diritti già sorti e, in questo caso, si spera che il Legislatore modifichi, quantomeno, l’entrata in vigore disponendone l’applicabilità non alle successioni aperte dal 1 gennaio 2024, bensì, alle donazioni o ai pesi pregiudizievoli posti successivamente alla suddetta data.

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Un ennesimo “sostegno” a banche e finanziarie per “superare” gli effetti della sentenza “Lexitor”?

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 30 luglio 2021

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Quasi un anno fa, il 22 agosto 2020, (nel post Il lupo perde il pelo ma non “il vizio”. Ancora una volta, dopo le condanne da parte dei Giudici, gli intermediari bancari bussano alla porta del legislatore) scrivevo alcune brevissime considerazioni dopo avere letto la notizia del possibile intervento normativo invocato da banche o finanziarie al fine di fronteggiare le conseguenze della sentenza della Corte di Giustizia UE dell’11 settembre 2019 (cosiddetta sentenza “Lexitor”, secondo cui, in caso di rimborso anticipato di un contratto di finanziamento, al consumatore andrebbero restituiti, in proporzione al periodo residuo del finanziamento estinto anticipatamente, tutti i costi sia recurring, ossia previsti ed imputati nel corso del rapporto, sia upfront ossia riferiti alla sottoscrizione del contratto). E’ passata quasi “in sordina”, se si escludono alcune testate e riviste specialistiche telematiche, la notizia dell’emendamento inserito all‘art. 11 octies, comma 1, lett. c), D.L. 25 maggio 2021, n. 73 dalla legge di conversione 23 luglio 2021, n. 106 col quale è stato modificato l’art. 125 sexies del decreto legislativo n. 385/1993 (Testo Unico bancario). Tale disposizione, il cui primo comma sancisce il diritto del consumatore di rimborsare, in tutto o parzialmente, quanto dovuto al finanziatore, in seguito alle recenti modifiche specifica che “in tal caso ha diritto alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte“: con una regola che sembrerebbe applicarsi “per il benevolo intervento del legislatore italiano, a partire da adesso, ma la sentenza Lexitor non è mai esistita” (come attentamente osservato, qualche settimana fa, prima che venisse approvata la legge di conversione al decreto, da A. Criscione, nell’articolo pubblicato sull’inserto Plus de Il Sole 24 Ore del 17 luglio scorso) recepisce, quindi, quanto statuito dai Giudici di Lussemburgo che avevano affermato il diritto del consumatore alla restituzione non solo delle spese recurring ma anche di quelle up front .

Appare favorevole ai consumatori e conforme alla trasparenza contrattuale l’introduzione dei due commi nei quali è sancito che “I contratti di credito indicano in modo chiaro i criteri per la riduzione proporzionale degli interessi e degli altri costi, indicando in modo analitico se trovi applicazione il criterio della proporzionalità lineare o il criterio del costo ammortizzato. Ove non sia diversamente indicato, si applica il criterio del costo ammortizzato“.

Sembrerebbe, quindi, una disposizione pienamente conforme alla normativa sovranazionale di tutela del consumatore (o, sarebbe meglio dire, di suo doveroso recepimento) e ispirata dalla necessaria tutela della “parte debole” del contratto. Verrebbe da chiedersi, quindi: è una manifestazione di un legislatore finalmente attento alla salvaguardia dei consumatori, dei loro diritti “acquisiti” nei confronti del potere bancario e rispettoso del prevalente orientamento giurisprudenziale registratosi in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia? E’ sufficiente leggere il secondo comma dell’art. 11 octies, comma 2, D.L. 25 maggio 2021, n. 73, così come inserito dalla legge di conversione del 23 luglio 2021, n. 106, per avere la risposta o, piuttosto, per riflettere su varie perplessità che, ancora una volta, suscita la lettura del testo normativo: “L’articolo 125-sexies del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come sostituito dal comma 1, lettera c), del presente articolo, si applica ai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti“.

E la sentenza della Corte di Giustizia UE dell’11 settembre 2019, con la prevalente giurisprudenza nazionale, che aveva riconosciuto l’applicabilità della decisione ai contratti già sottoscritti? Dovrebbe essere “superata” da una norma di legge nazionale che intenderebbe “differire” gli effetti e l’interpretazione di una direttiva in senso diverso da quanto era stato affermato dai Giudici di Lussemburgo? La sentenza della Corte di Giustizia dovrebbe essere disapplicata in favore di norme secondarie della Banca d’Italia vigenti alla data di sottoscrizione dei contratti? Non è la prima volta, come scrivevo nel post dell’anno scorso, che il legislatore italiano appare particolarmente sensibile alle istanze del potere bancario. La serie degli interventi normativi coi quali, negli ultimi 20 anni, si è tentato di favorire le banche a discapito degli utenti non è, di certo, breve anche se, spesso, le decisioni della Consulta e della Giurisprudenza di merito o di legittimità, come accennato, hanno dimostrato la fragilità di simili interventi che, già sul nascere, manifestavano la debolezza di fronte alla forza della ragione oltre che della Carta fondamentale e dell’ordinamento. Ho già ricordato nel post dello scorso anno cosa avvenne all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2 dicembre 2010 che rigettò la difesa avanzata dalle banche secondo cui la prescrizione delle domande ripetizione sarebbe dovuta decorrere dalla data delle annotazioni. Fu inserito, anche in quell’occasione “last minute“, in una legge di conversione di un decreto legge (l. 26 febbraio 2011 di conversione del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, cosiddetto “decreto milleproroghe”), un emendamento col quale si modificava una norma del codice civile (art. 2935) che era rimasta immutata per quasi 70 anni. Dopo quasi un anno, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 58 del 5 aprile 2012, dichiarò l’incostituzionalità della norma. Si può ricordare anche ciò che avvenne nel 1999: la Corte di Cassazione, con due pronunce (del 16 e del 30 marzo), riconobbe la mancanza di uso normativo nella prassi anatocistica bancaria con la conseguenza che le banche si ritrovavano a dovere restituire gli importi indebitamente percepiti in conseguenza della capitalizzazione. Dopo appena quattro mesi, ad agosto, quella volta “approfittando” di un decreto legislativo (n. 342/1999), si legittimò, con la modifica dell’art. 120 del Testo Unico bancario, la capitalizzazione degli interessi. Ma non bastava. Si introdusse la “sanatoria” per i contratti già sottoscritti vanificando, così, quanto era stato riconosciuto e deciso dalla Cassazione a favore degli utenti. Dopo circa un anno la Corte Costituzionale, con sentenza del 17 ottobre 2000 n. 425, espunse dall’ordinamento la norma che prevedeva la “sanatoria” per i contratti già sottoscritti. .

Come scrivevo l’anno scorso, insomma, “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Questa volta, l’occasione è stata la legge di conversione del Decreto Legge 71/2021, cosiddetto “Sostegni bis”. In un provvedimento che, nella drammatica situazione sanitaria ed economica in cui si trovano cittadini e imprese, si sarebbe dovuto ipotizzare che avesse un contenuto “limitato” agli interventi necessari ed urgenti a sostegno dell’economia o delle categorie più danneggiate, si è trovato lo spazio anche per l’inserimento di una norma (o meglio, si ripete, per recepire quanto già riconosciuto dalla Corte di Giustizia) per disciplinare gli effetti del rimborso anticipato di finanziamenti da parte del consumatore ma, di fatto, prevedendo l’applicabilità, solo per il futuro (in particolare dalla data di entrata in vigore della legge), di quanto, secondo la sentenza della Corte di Giustizia UE dell’11 settembre 2019 (cd. Lexitor), dovrebbe, invece, intendersi applicabile per i contratti già sottoscritti. Un vero e proprio “sostegno”, in effetti, appare essere quello introdotto al secondo comma dell’art. 11 octies del d.l. 71/2021 laddove si vorrebbe che le disposizioni introdotte a favore del consumatore siano applicabili soltanto per i contratti sottoscritti successivamente alla legge di conversione. Si vedrà quanto questo “sostegno” (che sicuramente, per le banche, non è il “bis” né il “ter” nè il “quater“, ma, forse, l’ennesimo) sia effettivamente “solido”, ben fondato e, quindi, se -e fin quando- potrà reggere. Non si può escludere che, ancora una volta, sia la Corte Costituzionale o la Corte di Giustizia a dovere essere chiamata a valutare se il legislatore nazionale possa legiferare in senso parzialmente difforme alla normativa europea.

A distanza di poche ore dall’approvazione della legge di conversione del d.l. “Sostegni bis “, si è letto che il Presidente della Repubblica, con una lettera inviata al Presidente della Camera e del Senato nonché al Presidente del Consiglio, ha ricordato il necessario rispetto dei limiti della decretazione d’urgenza rilevando, nella legge di conversione del d.l. sostegni, l’aggiunta di ben 393 emendamenti rispetto al testo originario del decreto legge con finalità estranee al tema e all’oggetto del decreto.

Sarebbe auspicabile che anche interventi normativi inerenti i rapporti tra banche e utenti non siano inseriti, senza specifico ed approfondito dibattito parlamentare, in leggi di conversione di decreti legge che, come è noto, dovrebbero presupporre la sussistenza di casi straordinari di necessità ed urgenza.

Consiglio la lettura degli articoli di A. Criscione “Credito. D.l. Sostegni bis e la Lexitor <ignorata>” e di F. Pezzatti “Dubbi su costituzionalità della riscrittura dell’articolo 125 sexies” su Il Sole 24 Ore, inserto Plus, del 17 luglio 2021 con l’interessante opinione del Prof. A.A. Dolmetta.

Riporto il link ai seguenti articoli:

Dal portale Tiscali News: Sostegni bis, Mattarella firma ma dice stop alle norme fuori tema: il testo della lettera a governo e parlamento

Dal sito de “Il Fatto Quotidiano”: Sostegni bis, Mattarella firma ma scrive a Casellati, Fico e Draghi: “Troppe norme estranee al decreto. In caso di anomalie valuterò il rinvio dei provvedimenti alle Camere”

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Il lupo perde il pelo ma non “il vizio”. Ancora una volta, dopo le condanne da parte dei Giudici, gli intermediari bancari bussano alla porta del legislatore

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 22 agosto 2020

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La Corte di Giustizia, con sentenza dell’11 settembre 2019 (ormai nota come “sentenza Lexitor“), nel decidere sul quesito “Se la disposizione contenuta nell’articolo 16, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 3, lettera g), della direttiva [2008/48], debba essere interpretata nel senso che il consumatore, in caso di adempimento anticipato degli obblighi che gli derivano dal contratto di credito, ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, compresi i costi il cui importo non dipende dalla durata del contratto di credito in questione” ha dichiarato che: “L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore“.

Sull’inserto settimanale Plus de Il Sole 24 Ore di sabato 22 agosto è pubblicato un interessante articolo (di A. Criscione) dal titolo “Lexitor, ora si profila l’intervento legislativo” e sottotitolo: “Gli intermediari premono per evitare l’applicazione della sentenza al passato. Soluzione allo studio” nel quale è ricordato il contrasto sorto, nella giurisprudenza di merito, riguardo agli effetti della pronuncia emessa, lo scorso anno, dalla Corte di Giustizia UE. I Giudici di Lussemburgo hanno deciso, in sostanza, che, in caso di estinzione anticipata di contratti di credito al consumo (tra i quali rientra il contratto con cessione del V dello stipendio), il consumatore ha diritto alla restituzione, in rapporto alla restante durata del contratto, non solo delle spese “recurring” ma anche di quelle non dipendenti dalla durata del contratto (up front).

Sebbene l’ABF (Arbitro Bancario e Finanziario), con pronuncia del Collegio di coordinamento dell’11 dicembre 2019, abbia recepito il principio affermato dai Giudici sovranazionali, nella giurisprudenza di merito si è registrato un contrasto tra un orientamento che ha escluso la diretta applicabilità della pronuncia dei Giudici lussemburghesi e un altro che l’ha invece ritenuta vincolante nell’interpretazione della norma di cui all’art. 125 sexies del Testo Unico bancario .

A fronte della possibilità (visto anche l’aumento di pronunce, soprattutto dei Giudici di secondo grado, con le quali sono state accolte le domande, proposte dai consumatori, di restituzione sia dei costi up front che di quelli recurring) che gli intermediari siano costretti a restituire gli ulteriori importi richiesti dai consumatori che abbiano estinto anticipatamente il finanziamento -secondo quanto riportato nell’articolo su Plus-Sole 24 Ore- sarebbe stato richiesto un intervento normativo: il Ministero dell’Economia starebbe cominciando a istruire la pratica con la possibilità di un intervento nella prossima manovra finanziaria. Secondo quanto si desume dalla notizia riportata sull’inserto settimanale, l’intervento legislativo sarebbe stato sollecitato con la giustificazione che gli intermediari italiani avrebbero agito “in buona fede” in conformità alle indicazioni delle autorità nazionali, secondo le quali il rimborso andava limitato alle spese recurring.

Un simile tentativo di chiedere soccorso al legislatore dopo pronunce, da parte di Giudici sovranazionali e nazionali, che possano risultare sfavorevoli al settore bancario-creditizio, non meraviglia ma, di certo, rattrista: può suscitare al cittadino la sensazione che vi siano politici o “tecnici”, magari nemmeno eletti, disponibili ad assecondare le istanze di lobbies cambiando le regole, magari con efficacia retroattiva, in contrasto con le decisioni dei Giudici.

Se così fosse si assisterebbe a qualcosa di già visto, un dejavu. Reazione analoga a quanto già avvenuto in seguito alle pronunce della Corte di Cassazione, nel marzo 1999, con le quali si riconobbe l’inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare al divieto di anatocismo e a cui seguì, dopo meno di cinque mesi, l’intervento del legislatore che, col decreto legislativo n. 342, modificò l’art. 120 Tub legittimando, sia pure a determinate condizioni, la capitalizzazione. Ma non solo. Si tentò di legittimarla anche per il passato: tentativo di sanatoria che, tuttavia, falli’ visto che la Corte Costituzionale, con sentenza del 17 ottobre 2000, dichiarò incostituzionale il terzo comma dell’art. 120 (quello che, appunto, sanciva la “sanatoria” per il passato).

Ancora. La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza 2 dicembre 2010, si pronunciò in merito alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione degli importi indebitamente corrisposti nel rapporto di conto corrente riconoscendo che la prescrizione inizia a decorrere dal “pagamento” e non dall’annotazione degli oneri non dovuti e, se il versamento è avvenuto nell’ambito di un rapporto di affidamento, deve essere verificata la natura ripristinatoria o solutoria dell’importo corrisposto: nella prima ipotesi, la prescrizione inizierebbe a decorrere dalla chiusura del rapporto. Ancora una volta, la decisione, probabilmente, non fu particolarmente gradita. Dopo meno di due mesi, in sede di conversione del decreto legge 29 dicembre 2010 (c.d. “milleproroghe”) fu inserito un emendamento e introdotta una norma di interpretazione autentica dell’art. 2935 cod. civ. prevedendosi che, nei rapporti di conto corrente, la prescrizione relativa a diritti nascenti dall’annotazione iniziasse a decorrere dall’annotazione stessa e, “in ogni caso”, non si sarebbe fatto luogo alla restituzione degli importi già versati. Anche in questo caso, la Corte Costituzionale, con sentenza del 5 aprile 2012, n. 78 dichiarò incostituzionale la norma di cui all’art. 2, comma 61, del d.l. 225/2010.

Ora, dopo la decisione della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019 e l’aumento delle pronunce dei Giudici italiani che ritengono vincolante l’interpretazione fornita dai Giudici di Lussemburgo relativamente alla quota delle voci di costo che dovrebbero essere restituite al consumatore il quale abbia estinto anticipatamente il contratto di credito al consumo, sembrerebbe richiesto nuovamente aiuto al Legislatore. La giustificazione del richiesto aiuto -secondo quanto si desume dalla lettura dell’articolo del settimanale- sembrerebbe fondata sul rispetto di quanto indicato dalle Autorità nazionali, ossia, che sarebbe dovuto il rimborso solo del costo dipendente dalla durata del contratto. Si vedrà nei prossimi mesi se, davvero, vi sarà l’ennesimo intervento normativo a favore di banche o finanziarie, in contrasto con quanto deciso dalla Corte di Giustizia UE e da vari Giudici nazionali, oppure, se il “Governo del cambiamento” e il Parlamento vorranno dimostrare che non vi può essere valida giustificazione fondata su istruzioni di Autorità che siano in contrasto con le fonti di diritto sovranazionale, con la Costituzione e con la Legge. Una “sanatoria” per il passato, oltre ad essere in contrasto con il principio di irretroattività della Legge, non terrebbe conto, poi, che, come ricordato nella motivazione della pronuncia della Corte di Giustizia, l’articolo 22 della Direttiva 2008/48 CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 intitolato «Armonizzazione e obbligatorietà della direttiva», stabilisce che “«1. Nella misura in cui la presente direttiva contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite“.

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Ospite nella trasmissione “Istituzioni e cittadini” per parlare di abusi bancari

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 21 marzo 2019

Pubblico di seguito il video della puntata, andata in onda ieri 20 marzo, in diretta, su One Tv (ch 86 dgt- SKY 828), dedicata agli abusi bancari e di Equitalia. Ospite insieme a Francesco Petrino, Presidente dello Snarp, i miei interventi a partire dal minuto 26’50”.

 

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Perché presumere che il precettato o pignorato è sempre debitore? Perché non si introduce l’obbligo di avvertire il debitore della possibilità di opporsi all’esecuzione?

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 29 aprile 2016

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Giorni fa nel consultare il sito internet di un Tribunale, sono rimasto meravigliato nel constatare la presenza di un file contenente avvertimenti al debitore esecutato al fine di evitare la vendita dell’immobile oggetto del pignoramento: tra questi, la possibilità di richiedere la conversione del pignoramento (dietro versamento del quinto e richiesta di rateizzazione). Riflettendo anche sul fatto che, con la norma introdotta dall’anno scorso nell’art. 480 c.p.c. (in particolare, con l’art. 131, lett. a), d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv., con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132) nel precetto il creditore deve avvertire il precettato della possibilità di ricorrere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, credo che manchi una norma che imponga un avvertimento, forse, più importante e che sarebbe conforme al necessario rispetto del diritto di proprietà e di altri diritti fondamentali della persona. Sarebbe, infatti, doverosa, a mio avviso, l’introduzione di un comma, nello stesso art. 480 c.p.c. -o, comunque, tra le norme del codice procedura civile- che imponga al creditore o alla cancelleria un’informazione fondamentale per colui che si ritiene essere il debitore: la possibilità di proporre opposizione preventiva (in seguito alla notifica del precetto) o all’esecuzione laddove il debitore ritenga che la pretesa non sia fondata o, comunque, contesta la sussistenza di un valido titolo esecutivo!!!! Perché, prima di avvertire sulle modalità e possibilità di pagamento al fine di evitare l’espropriazione, non si avverte il debitore anche della possibilità di opporsi e di richiedere la sospensione della procedura per gravi motivi ex art. 624 c.p.c. e, se non abbiente, della possibilità di ricorrere anche al patrocinio a spese dello Stato? Perché si deve presumere che il pignorato sia sempre davvero debitore? Si temono azioni temerarie? Si potrebbe aggiungere l’avvertimento che, in caso di opposizioni infondate, l’opponente può essere condannato al pagamento delle spese o, perfino, per lite temeraria. Credo, poi, che sarebbe civile e rispettoso della dignità della persona umana, della salute dell’esecutato e della sua famiglia che, tra gli accertamenti preliminari alla vendita, vi sia quello volto ad accertare l’eventuale presenza, nell’immobile pignorato, di minori o anziani e, comunque, ad assicurare un supporto psicologico impedendosi qualsiasi rilascio di abitazione se non dopo avere salvaguardato o quanto meno ridotto i rischi di pregiudizi di carattere psicofisico ai soggetti più deboli. Il diritto di credito non può prevalere sul diritto alla vita e alla salute!!!!

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Convegno del Movimento 5 Stelle, a Teramo, per parlare anche di usura e abusi bancari

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 13 novembre 2015

Con l’auspicio che sempre un maggior numero di parlamentari e politici comprendano le reali sofferenze delle vittime di abusi bancari e agiscano al fine di evitare continui regali alle banche sulla pelle dei cittadini e degli utenti, sono lieto di intervenire all’interessante convegno organizzato, a Teramo, dal Movimento 5 Stelle sabato 14 Novembre 2015.

locandina convegno Teramo 14 nov 15

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BANK- Il futuro della banca- Lineamenti di teoria bancaria e finanziaria, del Prof. Antonino Galloni

Pubblicato da: Roberto Di Napoli su 21 luglio 2015

Ringrazio il Prof. Antonino Galloni​, sicuramente uno dei più autorevoli e lucidi economisti italiani, ex direttore del Ministero del Lavoro, discepolo di Federico Caffè, per avere citato, in uno dei suoi ultimi lavori “Bank-Il futuro della banca-Lineamenti di teoria economica e finanziaria“, nella bibliografia, anche un mio ben più modesto lavoro editoriale. A quanti (credo pochi) non avessero mai letto i suoi scritti o non lo avessero mai ascoltato consiglio, oltre che la lettura del libro, di sentire (attraverso uno dei video su youtube di cui al link sottostante) un’interessante intervista in cui in maniera chiarissima, oltre che ripercorrere la storia politica degli ultimi 30 anni, spiega le ragioni per cui questo Paese, sin dalla fine degli anni ’80, è stato “deindustrializato” e ridotto nella triste situazione economica. Il prof. Galloni, circa due mesi fa, ospite di Uno Mattina, ha smentito i risultati “ottimistici” pubblicizzati da Renzi sulla ripresa dell’economia.

copertina Bank di Antonino Galloni

quarta copertina Bank di Antonino Galloni

Per vedere la puntata di Uno Mattina del 15 Maggio 2015 in cui è stato ospite il Prof. Galloni, cliccare qui

Cliccare qui, invece, per vedere l’interessante intervista su “Come ci hanno deindustrializzato“, un viaggio che passa da Enrico Mattei e Aldo Moro.

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