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Archive for the ‘informazione’ Category

Case e fondi: arriveranno altri “capitani coraggiosi” a salvare case e aziende?

Posted by Roberto Di Napoli su 26 marzo 2024

La riproduzione anche parziale del contenuto del blog è riservata. E’ consentita la riproduzione solo citando la fonte o il link del blog o del singolo post

A partire dall’inizio della pandemia, con l’introduzione, non solo in Italia, delle norme apparentemente finalizzate al sostegno di famiglie e imprese, mi è capitato più di una volta di riflettere sul pro e contro delle misure economiche previste: anche di quelle, apparentemente, “a fondo perduto” o, comunque, di “sostegno”, super bonus 110% e bonus facciate. Le domande che, più volte, mi sono posto sono state: “Andrà tutto bene” e si vedranno “arcobaleni” anche nell’economia? Ci saranno padri di famiglia e imprenditori che avranno voglia di cantare dai balconi, felici per il bilancio familiare o le casse dell’azienda? Si può permettere, un Paese come l’Italia, di finanziare restauri di tutti gli edifici? Sono fondi a ciò destinati dall’Unione Europea e lo Stato non dovrà restituirli? Quasi contestualmente, si è tornato a discutere della riforma del fisco e dei valori catastali. E’ ripreso il dibattito in merito alla cosiddetta normativa green che graverà, nei prossimi anni, sui proprietari di immobili che saranno costretti a costosi lavori per adeguarli alla normativa (presentata come finalizzata al “risparmio” energetico). Mi sono chiesto, quindi, ancora: è sicuro che le misure a sostegno dell’economia non si riveleranno un boomerang e la compromettano maggiormente? L’aumento dell’inflazione (che inizialmente sembrava dovuto all’aumento dei prezzi del gas dovuto alla guerra Russia-Ucraina), ha determinato, poi, nel corso degli ultimi due anni, l’aumento da parte della BCE dei tassi di interesse con il conseguente rialzo dei tassi anche di mutui, prestiti bancari e di locazione finanziaria. E, quindi: una famiglia con un oneroso mutuo sulle spalle, riuscirà a far fronte al pagamento di rate, tasse e, magari, anche a costi ulteriori per adeguare gli immobili alla normativa “green” o compariranno fondi o grandi banche che saranno presentati come “salvatori della patria” o “capitani coraggiosi” (come, un tempo, furono osannati quelli che sembravano i salvatori della compagnia di bandiera) disponibili ad “andare incontro” a famiglie e imprenditori facendo grandi acquisti a prezzi “da outlet”? E poi, ancora: e se fosse proprio quest’ultimo il progetto, ossia, rendere la proprietà privata un’eccezione?

Avevo timore di esporre quei miei interrogativi per non essere tacciato di essere uno dei tanti “complottisti”, termine che sembra ormai divenuto di moda (quasi quanto quello di “no vax” per stigmatizzare chi abbia voluto esercitare la propria libertà di determinazione in merito alla propria salute, forse non proprio immotivatamente) ma che sembra, talvolta, abusato nel tentativo di “screditare” chi è abituato a porsi domande, chi non è incline a credere, come un dogma, alle informazioni imposte e non si sente costretto a “seguire la massa”. Ho letto il numero del settimanale Panorama (n. 13 del 20 marzo 2024). Occhiello in copertina: “Case nel mirino- così i grandi fondi approfittano del caos immobiliare“. All’interno, un interessante articolo di Carlo Cambi dal titolo “Sfrattati dal Supermalus“. Sottotitolo: Tra debiti fatti a causa dei bonus e norme green, il patrimonio edilizio degli italiani è sempre più appetibile per i grandi investitori.

A quanto pare -e, direi, purtroppo- alcuni dei miei interrogativi non erano banali o fantasiosi come, forse, avrei preferito. Speriamo se li pongano anche i cittadini e stiano attenti sia al proprio portafoglio sia a informarsi quotidianamente sulle misure e sulle politiche solo dall’apparenza “benefiche” o di beneficio all’economia e, soprattutto, studino, prossimamente, il passato, la storia appurando, per quanto possibile, la competenza di chi dovrà rappresentarci al Parlamento Europeo la cui politica non potrà che determinare anche la nostra vita nei prossimi anni.

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Decisione o adesione alla proposta di rinuncia al ricorso in Cassazione: è compatibile con l’ordinamento (oltre che con la Costituzione) quanto previsto dall’art. 380 bis cpc? Una “proposta” che non si può rifiutare? Alcuni interessanti articoli sulla norma introdotta dalla riforma Cartabia

Posted by Roberto Di Napoli su 14 aprile 2023

Le novità introdotte dalla recente riforma del codice di procedura civile hanno già suscitato non poche perplessità in merito a varie ragioni di pericolo di compromissione dei diritti di difesa. Sembra, invece, che non abbia destato preoccupazione, finora, (o, forse, non è stato oggetto di attento esame) quanto previsto dall’art. 380 bis c.p.c. la cui norma prevede, relativamente al giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, che laddove il Presidente di Sezione o un Consigliere delegato ravvisi l’inammissibilità o l’improcedibilità o la manifesta infondatezza del ricorso, questi possa formulare una sintetica “proposta” di definizione che viene comunicata ai difensori delle parti. Nel termine di 40 giorni dalla comunicazione, il ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di “nuova” procura speciale, può chiedere la decisione, altrimenti il ricorso si intende rinunciato e la Corte provvede ai sensi dell’art. 391 c.p.c..

Una prima e superficiale lettura dei primi due commi dell’articolo appena citato potrebbe lasciare l’impressione che il diritto costituzionale al giudizio di legittimità sia comunque salvaguardato visto che la parte potrebbe non aderire alla “proposta” e chiedere che il ricorso sia deciso. Ciò che, tuttavia, dovrebbe far preoccupare per la possibile compromissione del diritto di difesa e al Giudizio di Legittimità -in aggiunta alla rilevanza attribuita ad una sorta di rinuncia “tacita” al ricorso in Cassazione che sarebbe determinata da una “proposta” formulata da un Giudice “monocratico” e, dunque, non dal Collegio- è quanto previsto al terzo comma della norma di cui all’art. 380 bis c.p.c. , ossia, che qualora la parte presenti istanza con la quale chieda la decisione, la Corte vi provvederà ma se il giudizio dovesse essere definito in conformità alla proposta che era stata formulata (dal Presidente di sezione o dal Consigliere il quale, peraltro -non essendo prevista una incompatibilità- potrà far parte del Collegio) “applica” il terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c. che prevedono la condanna, in aggiunta alle spese e al raddoppio del contributo unificato, al risarcimento per responsabilità aggravata (il quarto comma dell’art. 96 cpc prevede la condanna fino a 5000 euro). Ferma restando l’esigenza che siano evitati ricorsi inammissibili o manifestamente infondati, bisognerebbe domandarsi: è compatibile con l’ordinamento, con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo il procedimento di “decisione accellerata” (o, forse, verrebbe da dire: “estinzione accellerata”)? E’ proporzionata la misura sanzionatoria introdotta o può apparire, piuttosto, un inopportuno “avvertimento” che incita la parte ad aderire alla proposta e a rinunciare al proprio diritto (con conseguente passaggio in giudicato e irrevocabilità della decisione impugnata) per il solo timore di vedersi applicata a suo carico una condanna -oltre che alle spese e al raddoppio del doppio dell’importo del contributo unificato- anche per responsabilità aggravata? E’ corretta una sorta di rinuncia “tacita” al giudizio di legittimità in seguito ad una “proposta-decisione” formulata da un Giudice singolo e non dal Collegio? Spero che la norma appena introdotta sia al più presto oggetto della massima riflessione, soprattutto da parte dell’Avvocatura e del Parlamento, sulla sua compatibilità con il diritto di difesa e al giusto processo protetti dalla Carta Costituzionale oltre che dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

Invito a leggere attentamente alcuni interessanti articoli del Prof. Bruno Capponi (Professore ordinario di Procedura civile e avvocato, già magistrato ordinario), pubblicati sulla rivista giuridica telematica Judicium– Pacini Giuridica di cui riporto di seguito i link .

Bruno Capponi, Odissea nel Palazzaccio

Bruno Capponi, Dei Giudici monocratici in Cassazione

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“Appunti stravaganti di diritto bancario”: un interessante webinar organizzato da Aiga su fideiussioni, onere della prova, usura e cessioni del credito

Posted by Roberto Di Napoli su 31 marzo 2021

Questo pomeriggio, a partire dalle ore 15,30, si terrà l’interessante webinar (sulla piattaforma Zoom) organizzato da Aiga (Associazione Italiana Giovani Avvocati). Ringrazio dell’invito Aiga, il Presidente Nazionale Avv. Antonio De Angelis, il Coordinatore Aiga Calabria avv. Caterina Giuliano, il Presidente della Fondazione Aiga Avv. Giovanna Suriano, il Coordinatore del Dipartimento di diritto bancario Avv. Orfeo Strianese .

Si parlerà di fideiussioni, onere della prova nel contenzioso bancario, usura bancaria e cessione del credito. Il webinar rientra nell’attività formativa a distanza organizzata da Aiga ai fii della formazione continua per gli Avvocati con il riconoscimento di 3 crediti formativi.

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2 Agosto 1980. Chissà se mai potremo leggere la Verità sui mandanti delle stragi accadute in Italia

Posted by Roberto Di Napoli su 2 agosto 2020

La riproduzione anche parziale del contenuto del blog -compresa la fotografia contenuta nel presente post- è riservata. E’ consentita la riproduzione solo citando la fonte o il link del blog o del singolo post

Questa foto la scattai 5 anni fa: giugno 2015. Stavo aspettando un treno ed ero di passaggio per una delle mie trasferte. Vedendo quel ragazzo seduto intento a leggere un libro, proprio di fronte a quello squarcio nel muro della Stazione di Bologna che ricorda una ferita così grande, mi sono chiesto se mai un giorno potremo leggere la Verità su quella e tante altre tragedie, troppe, accadute in questo Paese e sulle quali, ancora oggi, dopo oltre 40 anni, non esiste certezza. Una “squarcio nel muro” che non solo ricorda la strage del 2 agosto 1980 con quei passeggeri innocenti, tra i quali anche bambini, che persero la vita mentre aspettavano di partire o qualche arrivo, ma che sembra rappresentare la ferita ancora aperta di un Paese. All’interno della sala d’attesa, oltre alla lapide a memoria di quanti persero la vita, c’è un grande quadro, restaurato dopo la strage pur con alcuni segni evidenti, che riproduce quella stessa stazione ai primi del ‘900. Una didascalia spiega che la mattina del 2 Agosto 1980 era lì, circondato dalle macerie. Se potesse parlare, testimonierebbe chi e cosa ha visto: racconterebbe la verità più di tanti libri o sentenze.

Riporto di seguito il link all’interessante articolo di R. Calandra “Bologna 40 anni dopo: «Il lutto è comune, la verità ancora no»“, pubblicato sul sito de Il Sole 24 Ore con l’intervista a Paolo Bolognesi, rappresentante delle vittime della strage. https://www.ilsole24ore.com/art/bologna-40-anni-dopo-il-lutto-e-comune-verita-ancora-no-ADS87ib

Dal sito del quotidiano digitale Interris: articolo di D. Mattana, “Bologna, 2 agosto 1980. Il massacro degli innocenti“- Ottantacinque morti, duecento feriti e un senso di giustizia mai del tutto appagato. Dalle macerie di Bologna, quarant’anni fa, non emerse che orrore e violenza. https://www.interris.it/copertina/bologna-2-agosto-1980-il-massacro-degli-innocenti/

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E’ davvero necessaria un’ulteriore riduzione del periodo di sospensione feriale? Quali sarebbero i diritti fondamentali compromessi dalla normativa vigente?

Posted by Roberto Di Napoli su 14 giugno 2020

Nei giorni scorsi, su alcuni quotidiani e siti internet, sono stati pubblicati alcuni articoli con una proposta per agevolare la ripresa dell’attività giudiziaria dopo la cosiddetta fase 2: la riduzione – anzi, sarebbe meglio dire: l’ulteriore riduzione- del periodo feriale che, come è noto, decorre dal 1° al 31 agosto. Sul quotidiano Il Dubbio, lo scorso 5 giugno, nell’articolo Contro la paralisi della Giustizia, meno ferie alla magistratura è stata pubblicata la proposta di un deputato Dem e del PD secondo cui, quest’anno, sarebbe opportuno limitare il più possibile il periodo feriale. Soluzione analoga è stata prospettata anche su altri siti secondo cui anche una parte dell’avvocatura sarebbe favorevole.

Pur nella consapevolezza della necessaria ripresa, a pieno regime, dell’attività giudiziaria, credo, tuttavia, che l’idea di ridurre, per quest’anno, il periodo di sospensione feriale dei termini non tenga conto di alcuni fattori. E’ sicuramente vero che è diffusa tra i cittadini l’erronea convinzione secondo cui, ogni anno, dal 1° al 31 agosto i Tribunali “chiudano” e gli avvocati siano tutti realmente in vacanza. Accompagnata, probabilmente, da una simile, fantastica “immagine vacanziera”, nel 2014 si è già introdotta una norma di legge (Decreto Legge n. 132/2014, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162) che ha ridotto il periodo, sin dal 1969, fissato dal 1° agosto al 15 settembre . Molti cittadini (e, probabilmente, alcuni politici) non sanno che moltissime materie non sono – né mai sono state- soggette a sospensione: alcuni procedimenti (quali, ad esempio, quelli aventi ad oggetto controversie di lavoro, separazioni, alimenti, cautelari, esecuzioni, opposizioni esecutive, opposizioni a dichiarazione di fallimento) sono sempre stati sottratti alla sospensione feriale dei termini, con la conseguenza che, nelle suddette cause, le udienze possono essere fissate e gli avvocati devono, comunque, rispettare i termini per memorie o difese che scadano nel periodo 1-31 agosto

In secondo luogo, ho la sensazione che si confonda il periodo di “quarantena” con quello di “vacanza”. Sarei curioso di sapere: quanti avvocati si sono rilassati nel triste e difficile periodo appena trascorso al punto da potere rinunciare alla sospensione dei termini nel “periodo feriale”? Le aule di giustizia, e, ancora prima, gli spazi in cui gli avvocati, in genere, attendono pazientemente prima di entrare per discutere le cause, consentirebbero di lavorare dignitosamente ed efficacemente nel mese di agosto così come nel resto dell’anno? Gli spazi di tutti gli Uffici Giudiziari sono muniti di condizionatori adeguati nel rispetto della normativa e delle condizioni igienico- sanitarie dettate per fronteggiare l’emergenza Covid-19? Quid iuris, quale sarebbe la conseguenza, in merito alla scadenza dei termini per alcuni atti (si pensi alle memorie o comparse conclusionali) che, ad esempio (dal 3 giugno), fossero già iniziati a decorrere e che, in virtù della legge vigente, scadrebbero dopo la sospensione feriale? Sarebbero ridotti con una norma retroattiva? Non mi meraviglierei vista la “chiarezza” di leggi e decreti emessi negli ultimi mesi, ma non saprei quali possano essere i vantaggi in termini di riduzione della durata dei giudizi, nel caso in cui, poi, sorgessero dubbi o dovessero sollevarsi eccezioni di nullità o questioni di costituzionalità.

Altro punto, a mio avviso, non sufficientemente considerato: come già ho scritto più di una volta, su questo mio pur modesto blog, mi pare difficile credere che un avvocato riesca a usufruire dell’intero periodo 1-31 agosto per godere del dovuto riposo dopo un anno di lavoro. Pur se non si considerasse quanto detto sopra, ossia, la circostanza che molte sono le materie che non sono soggette a sospensione, è indubbio che se un atto scade il 1° settembre, la preparazione e redazione necessitino dell’impegno per i giorni o le settimane antecedenti. Credo che, in sostanza, il periodo effettivo in cui un avvocato possa godere della pausa feriale (sempre che non abbia udienze o atti relativi a materie sottratte a sospensione) sia già ridotto a poco più di una settimana o massimo 10 giorni. Ora, mi chiedo: riducendo ulteriormente il periodo di sospensione (o eliminandolo completamente visto che questo sarebbe l’effetto pratico che ne conseguirebbe), quali sarebbero le ricadute nel settore del turismo o dei trasporti qualora vi fossero avvocati costretti ad annullare prenotazioni di voli aerei o biglietti di treni o di alloggi o l’abbonamento dell’ombrellone? Secondo quanto riportato dal settimanale Panorama (n. 23 – 3 giugno 2020) le agenzie di viaggi, dopo 3 mesi di chiusura, avrebbero subito la riduzione dell’80% dei ricavi: non si è considerato, però, che forse potranno esserci pure avvocati che, ad agosto, potranno essere costretti a rinunciare alle “già brevi” vacanze. Sarà previsto, poi, un “bonus bebè” laddove avvocati con figli, per lavorare, siano costretti a richiedere l’assistenza di babysitter, o si dovrebbe utilizzare quello stesso credito di imposta che era stato ideato per incentivare le vacanze di famiglie o single? Oppure, gli avvocati non devono godere di alcun periodo di riposo e non devono ricevere gli stessi sussidi previsti per altre categorie di lavoratori?

Sarebbe utile che i politici ideatori della proposta precisassero quali sarebbero le materie urgenti ed indifferibili che “soffrirebbero” della sospensione dei termini (visto che, mi pare, le materie che incidono sui diritti fondamentali non sono soggette a sospensione).

Fermo restando che sarebbe pur sempre necessario che gli spazi di tutti gli Uffici Giudiziari consentissero, come detto sopra, di potere lavorare nell’intero mese di agosto in condizioni adeguate, qualora non vi siano altre soluzioni se non quella di ridurre -ulteriormente- il periodo di sospensione per ogni materia (anche se, ripeto, dubito che ciò sia necessario e ritengo di dubbia legittimità una norma retroattiva che incida sui termini che siano già iniziati a decorrere) o di assicurare lo svolgimento di quei giudizi in cui le parti non intendano usufruire dei termini di sospensione feriale, allora una soluzione più equa e rispettosa dell’ “affidamento” di tutte le parti o dei difensori, a mio avviso, potrebbe essere quella di consentire la fissazione di udienze o la decorrenza dei termini (nel periodo che, invece, altrimenti, sarebbe “sospeso”) su istanza congiunta delle parti. In tal caso, sarebbe utile prevedere, però, che ogni eventuale provvedimento conseguente debba essere emesso entro un breve termine per non vanificare l’attività svolta dai difensori.

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Emergenza “coronavirus” e giudizi civili. Martedì 24 marzo 2020, seminario online organizzato da Maggioli Formazione

Posted by Roberto Di Napoli su 21 marzo 2020

L’attuale, drammatica situazione di emergenza da Coronavirus ha reso inevitabili, come è noto, provvedimenti normativi anche per disciplinare l’amministrazione della Giustizia e assicurare la tutela dei diritti. Tra le varie misure, introdotte, finora, con tre diversi e successivi decreti legge (d.l. 2 marzo 2020, n. 9; d.l. 8 marzo 2020, n. 11; d.l. 17 marzo 2020, n. 18), è stato disposto, per una prima fase, il rinvio d’ufficio delle udienze e la temporanea sospensione dei termini procedurali e, in una successiva fase, la riorganizzazione delle udienze con modalità idonee a salvaguardare la tutela della salute. Con riferimento alla “giustizia civile”, sono state introdotte disposizioni aventi ad oggetto anche le procedure di mediazione, di negoziazione assistita e gli altri strumenti di risoluzione alternativa delle controversie così come anche in merito all’utilizzo degli strumenti telematici. La lettura dei recenti provvedimenti normativi determina, tuttavia, la necessità di una particolare attenzione tenuto conto che, sebbene col d.l. 18/2020 si possano ritenere superati alcuni dubbi che emergevano dall’esame del precedente decreto, restano ancora alcuni interrogativi che si pongono al cittadino e, soprattutto, al difensore.

Martedì 24 marzo 2020, dalle ore 15 alle 16, ne parlerò online durante il seminario gratuito organizzato da Maggioli Formazione in videoconferenza.

Per informazioni sulle modalità di iscrizione, cliccare qui .

Riporto di seguito il programma.

  • I provvedimenti normativi all’indomani dell’emergenza da Covid-19 nella “zona rossa”;
  • Il d.l. 11 del 2020. I dubbi interpretativi in merito alla sospensione dei termini
  • Il d.l. 17 marzo 2020 n. 18. La proroga dei rinvii d’ufficio delle udienze e la sospensione dei termini nei giudizi civili. I termini a ritroso
  • Le eccezioni a salvaguardia di alcuni diritti fondamentali della persona
  • La sospensione delle attività nelle procedure di mediazione
  • La previsione di udienze “a distanza” mediante videoconferenza. Criticità e possibili soluzioni a garanzia del contraddittorio.

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Riforma della prescrizione: alcune mie sommarie riflessioni su una legge che non appare compatibile con la tutela dei diritti fondamentali della persona

Posted by Roberto Di Napoli su 5 gennaio 2020

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Condivido fermamente -come, credo, ogni cittadino- la necessità che sia assicurata la punizione dei responsabili di qualunque reato. Pur consapevole della complessità del tema, credo che la riforma della disciplina della prescrizione, così come entrata in vigore, non sia affatto compatibile con uno Stato di diritto, soprattutto se non si vogliono chiudere gli occhi di fronte ai non pochi problemi in cui si trova il sistema della Giustizia in Italia, tra i quali anche (ma non solo) la durata dei processi.

Chi l’ha ritenuta o ritiene urgente, non conosce, forse, i non rari casi di malagiustizia e non ha riflettuto abbastanza sui casi di “errori” giudiziari. Ho letto e sentito che si ritiene intollerabile che – come, purtroppo, verificatosi in passato- vittime di reati, in alcuni casi, non possano ottenere Giustizia a causa della prescrizione. Premesso che una tale motivazione, pur potendo risultare efficace nell’attirare facilmente il consenso elettorale di quanti non conoscono la differenza tra la responsabilità penale e civile, sembra confondere l’interesse dello Stato (alla repressione e punizione dei reati) da quello delle vittime (la cui risarcibilità prescinde dall’eventuale declaratoria dell’intervenuta prescrizione del reato e i cui termini di prescrizione possono essere interrotti da un qualsiasi atto anche stragiudiziale), potrei anche condividere, in astratto, che l’istituto della prescrizione collide con la “certezza della pena“: è difficile sicuramente, per la persona offesa di un reato, tollerare che il responsabile non sia scalfito dalla sanzione anche penale prevista dall’ordinamento. Vorrei, però, che l’autore o i sostenitori della riforma rispondessero anche a qualche altra domanda: appare normale che vari politici, a volte anche costretti a dimettersi dalle cariche che ricoprivano e per le quali erano stati eletti, siano stati processati, arrestati, condannati e, poi, a distanza di anni, assolti? E se si ripetessero analoghi errori e, dopo un’erronea sentenza di condanna, restassero, a causa della disciplina della prescrizione così come recentemente riformata, sotto processo a vita? Appare compatibile una tale disciplina (in un sistema in cui, oltretutto, la legge sulla responsabilità dei magistrati non è esente da critiche e perplessità) con la Costituzione, con la legge e con la separazione dei poteri? E’ tollerabile che vi siano reati gravissimi che, pur nell’ipotesi in cui sia stato accertato “il fatto”, non siano puniti da chi dovrebbe reprimerli e punirli e ciò per ragioni ben diverse dalla prescrizione? E’ tollerabile che (accanto a tanti magistrati che sono e appaiono seri, preparati, onesti e integerrimi) vi siano giudici che sbagliano e, di fatto, quasi mai, puniti? Gli autori della riforma della prescrizione pare ignorino che vi sono stati alcuni casi di imputati prosciolti con provvedimenti, poi, annullati dai giudici dei gradi successivi ma che, nel frattempo, il decorso del tempo aveva determinato la prescrizione impedendo, così, la prosecuzione del processo. La prescrizione nel diritto penale non è un privilegio ne’ a causarla sono strategie dilatorie degli avvocati ne’, tantomeno, i giudici attenti e scrupolosi: è un istituto a garanzia della persona accusata che non può rimanere a vita sotto processo, soprattutto quando, per la durata trascorsa dal “fatto” e per il quale non vi è un accertamento definitivo della sua esistenza o della responsabilità dell’imputato, è venuto meno l’interesse dello Stato alla punizione. Credo che chi si voglia qualificare “Avvocato del popolo”, debba conoscere davvero ciò che il Popolo, formato dai cittadini che credono nello Stato e nelle Istituzioni, ogni giorno, può subire; al tempo stesso credo che qualsiasi riforma non possa prescindere dai diritti fondamentali della persona umana, tra i quali, oltre che la Costituzione, la CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: meglio specificare per chi non capisse cosa sia o dovesse confonderlo con il nome di qualche corso privato per esami professionali) sancisce quello di essere giudicati in un tempo ragionevole. La violazione di tale diritto non può, di certo, essere compensata solo con un indennizzo: non può tollerarsi che una persona umana resti sotto processo a vita. L’opportunità di una riforma della disciplina della prescrizione del reato, forse, sarebbe anche potuta essere condivisa ma non, a mio modesto parere, così come è stata prevista ed entrata in vigore che potrà, forse, risultare utile a fini “propagandistici” ed elettorali e per incantare quanti si limitano a guardare il dito e non la luna ma non, di certo, ad assicurare e garantire i diritti dei cittadini.

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Daspo ai professionisti per i crediti falsi? E a quei funzionari di banche che firmano dichiarazioni di veridicità del credito che, solo in caso di opposizione, si scopre, poi, falso o di entità inferiore? 

Posted by Roberto Di Napoli su 1 ottobre 2019

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L’ipotesi dell’introduzione di una misura così severa, quale il Daspo, per i commercialisti o consulenti del lavoro che dovessero dichiarare crediti contributivi non conformi al vero, pur non essendo esperto nel settore fiscale o previdenziale, suscita, a mio avviso, non poche perplessità.

La lettura di alcune notizie riportate nelle scorse ore farebbe intendere -se non erro- che la misura verrebbe applicata in caso di “crediti fraudolenti” e, dunque, in ipotesi “dolose” .

Ho letto che “il ricorso all’utilizzo di crediti inesistenti o non spettanti, oltre a creare un danno per le casse dello Stato e per gli enti territoriali, genera «inaccettabili distorsioni economiche e lesioni al principio di concorrenza»”.

Mi chiedo, allora: e i danni che si determinano quando un rappresentante di una banca dichiara, ai sensi dell’art. 50 del Testo Unico Bancario (e, cioè, per ottenere un decreto ingiuntivo a carico dell’utente), che il credito è “vero” e “conforme alle scritture contabili”, mentre, invece, solo all’esito del lungo giudizio (e solo, dunque, se l’ingiunto si oppone) si scopre insussistente o inferiore a quello dichiarato? Sono danni solo tra privati, ossia, tra banca e utente? Sono danni sempre risarcibili? No.

Ho menzionato più volte, su questo mio blog (oltre che, sin dal 2005, su alcune mie pubblicazioni), i tantissimi casi (comprovati da sentenze) di decreti ingiuntivi ottenuti da banche proprio con una dichiarazione unilaterale di certezza del credito che, invece, all’esito di opposizione da parte di clienti, si sono rivelati insussistenti o notevolmente inferiori a quanto ingiunto (riporto alla fine di queste mie considerazioni, un mio post di gennaio scorso). In tanti altri casi, alla fine del giudizio, la situazione è risultata, perfino, rovesciata: la banca, che, per avere il provvedimento inaudita altera parte, aveva prodotto quella dichiarazione unilaterale con la quale aveva dichiarato il credito “vero” e conforme alle proprie scritture contabili, è risultata, invece, la debitrice del correntista. In un altro caso, ancora, una banca che aveva chiesto ed ottenuto il fallimento di un’impresa vantandosi, dunque, creditrice, si è rivelata essere debitrice dell’impresa che aveva concorso a distruggere.

E questi crediti falsi non provocano danni all’economia? A mio avviso, hanno concorso a “saccheggiare” patrimoni privati o di imprenditori, a far chiudere imprese (anche storiche), a far licenziare lavoratori o, comunque, a compromettere seriamente la produzione nazionale con inevitabili conseguenze anche in termini di tassazione e di mancate entrate nelle casse dello Stato. Sono, poi, la causa di ingenti danni patrimoniali (quasi mai risarciti) e non patrimoniali (ancor meno risarcibili “in forma specifica”) visto che, spesso, hanno causato la perdita di serenità, della salute e della vita dei malcapitati e di quanti (proprio nel rispetto della legge) si sono rifiutati di pagare importi non dovuti (soprattutto, quando sono stati accertati, all’esito del giudizio, come fondati su clausole nulle o pretese illegittime).

La distruzione di un’impresa, laddove determinata da crediti falsi o da pretese infondate e, quindi, scomparsa ingiustamente, non ne avvantaggia altre con una distorsione del mercato? Chi dichiara come “conforme alle proprie scritture contabili” un credito che, invece, risulta -agevolmente o all’esito di un giudizio- come falso, non commette anche un “falso” nelle scritture contabili o nei bilanci?

Allora, se deve essere punito con una sorta di “Daspo” (misura, come è noto, che deriverebbe il nome da quella prevista ed applicabile a carico di tifosi violenti) il professionista (sia esso commercialista, consulente contabile, ecc.) che dichiari crediti fraudolenti danneggiando lo Stato e il mercato, non comprendo per quale ragione non debbano essere puniti anche i funzionari bancari che, con dichiarazioni unilaterali, attestino come veri quei crediti che, in alcuni casi, non sarebbe necessario nemmeno l’esito del giudizio per sapere che non possono essere conformi al vero (come, ad esempio, quando il saldo si fonderebbe su contratti o rapporti viziati da clausole palesemente nulle). Certamente, chi firma quelle dichiarazioni ex art. 50 TUB non potrebbe sostenere di essere ingenuo o ignaro della normativa. Eppure, a fronte di tante dichiarazioni risultate difformi dalla realtà e a fronte di danni incalcolabili agli utenti e all’economia, non mi risulta che gli autori siano stati mai puniti né con sanzioni penali né con misure simili a Daspo. Allora, pur essendo “nobile” e auspicabile il fine di punire e, ancora prima, di prevenire l’annotazione o attestazione di “crediti fraudolenti”, ciò dovrebbe essere previsto a carico di chiunque attesti crediti, così come debiti, perdite o sofferenze (che sa o che non può non sapere) false non potendosi rendere immuni dal rispetto della legge chi, allo stesso modo così come ogni professionista, come ogni imprenditore e come ogni cittadino, è tenuto a rispettarla.

Cliccare qui per leggere il mio post del 5 gennaio 2019: “…e ci provano e riprovano ancora, confidando di farla sempre franca.

Riporto di seguito il link ad un articolo relativo alla notizia sull’ipotesi di Daspo per i professionisti che dichiarino crediti falsi.

Sorgente: Lotta all’evasione, Daspo ai professionisti per i crediti falsi – Il Sole 24 ORE

“Il progetto targato M5S prevede una piattoforma per certificare i crediti contributivi da compensare. Cunsolo (commercialisti): bene ma servono tempi certi mentre sul Daspo basta già il ruolo di vigilanza degli Ordini

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