IL BLOG DI ROBERTO DI NAPOLI

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Archive for the ‘malagiustizia’ Category

Siamo ancora “dove eravamo rimasti” oltre 30 anni fa o peggio ancora?

Posted by Roberto Di Napoli su 29 gennaio 2022

La notizia della scomparsa, lo scorso 10 gennaio, di Silvia Tortora ha fatto dispiacere, sicuramente, tantissime persone. E’ stata ricordata la sua attività giornalistica, la sua vita sempre nel ricordo delle sofferenze patite dal padre, oltre che la sensibilità per i più deboli e per la Giustizia. A tale ultimo proposito, ricordo alcuni articoli della sua rubrica sul settimanale Epoca, lo stesso periodico (settimanale in edicola fino al 1997) che, nel 1993, offrì ai lettori, in allegato, un piccolo volume con le “Lettere dal carcere” scritte da Enzo Tortora alla figlia.

E’ morta -come notato in vari articoli- a 59 anni, alla stessa età in cui, nel 1988, morì il padre, Enzo, divenuto simbolo dell’errore giudiziario. Credo che molti si saranno chiesti se ad una scomparsa prematura non possa avere contribuito anche un dolore, entrato all’improvviso, e portato dentro, nascosto, indelebile ed irreparabile.

Tanti, sicuramente, ricordano quando Enzo Tortora, definitivamente assolto, tornato nello studio di “Portobello”, nel 1987 introdusse la puntata di quella trasmissione -che enorme successo aveva avuto nelle edizioni precedenti alla brusca e involontaria interruzione – chiedendo, con gli occhi lucidi, davanti al pubblico alzatosi in piedi e a milioni di telespettatori Dunque, dove eravamo rimasti?” Continuò ringraziando tutti coloro i quali gli erano stati vicini e che avevano pregato per lui; aggiunse di essere lì “per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono tanti e sono troppi. Conforta, forse, immaginare padre e figlia nuovamente abbracciati, proprio come appaiono in alcune vecchie fotografie apparse giorni fa. Il “caso Tortora” viene ricordato spesso come un clamoroso esempio di errore giudiziario; i cittadini, probabilmente, però, altrettanto spesso, si domandano: e, dopo oltre 30 anni, dove siamo arrivati? Sono stati evitati casi simili? Forse, siamo allo stesso punto. Forse, anzi, anche peggio (pur se non si volesse considerare quanto riportato nella cronaca degli ultimi due anni, ossia quanto emerso in merito ad un possibile “sistema” nelle nomine di alcuni magistrati che, di certo, non hanno favorito quell’immagine di “sacralità” che i cittadini vorrebbero avere verso qualunque pubblico funzionario e, a maggior ragione, verso ogni Giudice) perché nonostante un referendum nel 1987 e la successiva legge 13 aprile 1988 n. 117 sul “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati“, gli errori giudiziari si sono ripetuti; ci sono stati altri cittadini, imprenditori o politici ingiustamente infangati su giornali e media, detenuti, processati e, poi, assolti dopo avere, però, ormai, subito la perdita della serenità, della salute, di beni e, a volte, anche della famiglia; casi di cittadini che hanno trascorso una parte della vita dentro ad una cella con sentenza definitiva e, poi, riconosciuti innocenti, in seguito a giudizio di revisione, anche dopo oltre 20 anni; in altre vicende, ci sono state imprese e beni sottratti ai proprietari per sospette infiltrazioni mafiose e, poi, ugualmente, riconosciuti non colpevoli (in alcuni casi, con la restituzione delle aziende ormai sull’orlo del fallimento); imprenditori distrutti ingiustamente e, perfino, casi di bambini strappati dalle famiglie sebbene l’allontanamento non sempre fosse necessario.

Come già scrissi qualche anno fa in un precedente post, continuo a chiedermi: cosa è cambiato dal 1987, ossia dall’anno in cui Tortora fu definitivamente assolto, al fine di evitare il reiterarsi di casi simili? E’ sufficiente quanto disposto dalla legge 117/1988 (sia pure con le modifiche introdotte nel 2015 per recepire le indicazioni della Corte di Giustizia Europea) per potere ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali? Ma, soprattutto: fermo restando che non dovrebbero esistere errori tali da potere determinare lo sconvolgimento o la distruzione della vita di una persona, quanto deve attendere il cittadino prima di essere risarcito? Tra il 2017 e il 2020, lo Stato –secondo quanto riportato in un articolo pubblicato sul sito Il Sole 24 Ore del 14 ottobre 2021 dal titolo: “Per un giorno di carcere ingiusto lo Stato paga da 120 a 800 euro“- avrebbe corrisposto 180 milioni di euro tra indennizzi per ingiusta detenzione e per errore giudiziario: ogni giorno di ingiusta detenzione in cella sarebbe stato indennizzato, peraltro, con importi diversi a seconda della Corte d’Appello, da poco più di 100 euro a 791 (in questo caso, comprensivo anche del danno). A prescindere dall’esiguità dell’importo per un cittadino che si trovi detenuto ingiustamente o oltre il limite di legge, chi ha pagato? Da quanto si legge nell’articolo, secondo le rilevazioni della Corte dei conti sulle scarcerazioni oltre i limiti di legge determinate da «ignoranza o negligenza inescusabile» del giudice, le azioni disciplinari promosse sarebbero state 53 (13 nel 2017, 16 nel 2018 e 24 nel 2019) e, tranne che in un caso riferito al 2016, non ci sarebbero informazioni sulle azioni di recupero nei confronti dei responsabili di quanto pagato dallo Stato per l’ingiusta detenzione. Rattrista sicuramente constatare che un cittadino, se paga in ritardo una multa, debba pagare sanzioni e interessi. E’ possibile che se sbaglia un magistrato facendo stare anche un giorno in più (o una vita intera) un cittadino in una cella, a pagare sia lo Stato ossia gli stessi contribuenti?

Tra il 1991 e il 31 dicembre 2019, invece, (come si legge in un interessante articolo pubblicato su Panorama del 15 luglio 2020: “Il magistrato sbaglia, lo Stato paga” di C. Gazzanna e F. Piccinni) i casi di ingiusta detenzione sarebbero stati, addirittura, 28.893 con un costo, a carico dello Stato, tra indennizzi e risarcimenti, di €823.691.326,45. Alle cifre corrisposte, peraltro, secondo quanto riportato nel 2020 nell’inchiesta pubblicata sul settimanale, si aggiungerebbero altri 223 milioni circa in seguito a sentenze pronunciate dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo contro l’Italia.

Nei giorni scorsi è stato istituito il Fondo per il rimborso delle spese legali al cittadino processato penalmente e, poi, assolto. Lo scorso 14 dicembre 2021, poi, è entrato in vigore il il decreto legislativo 8 novembre 2021 n. 188 per adeguare l’ordinamento alla direttiva europea 2016/343 che prevede alcune garanzie per la persona fisica indagata o imputata in un processo penale e per evitare, quindi, che una persona sia pubblicamente indicata come colpevole prima di una pronuncia irrevocabile (anche se in Italia già il principio di cui all’art. 27 della Costituzione avrebbe dovuto imporre le stesse garanzie al “presunto innocente”: si vedrà, pertanto, se le garanzie recentemente ribadite saranno effettive o se altre “specifiche ragioni di interesse pubblico” possano vanificare quanto disposto dalla normativa nazionale ed europea). Sono, indubbiamente, piccoli passi avanti, anche se, secondo me, insufficienti ad evitare quei danni irreparabili che possono derivare da un processo penale che, magari, nemmeno doveva iniziare. Si consideri, poi, che quasi sempre si legge, si parla o si sente parlare di ingiusta detenzione o di errore giudiziario in una pronuncia penale senza considerare gli ingenti danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti da un ingiusto ed errato provvedimento civile o amministrativo i cui danni, peraltro, non sempre sono risarcibili dalla controparte ma che, tuttavia, a volte sarebbero prevedibili ed evitabili.

Ho letto che pende in Parlamento un disegno di legge per l’istituzione della giornata in memoria delle vittime dell’errore giudiziario (ricordo che, anni fa, fu chiesto anche dall’associazione Giustizia Giusta fondata da Mauro Mellini): è, sicuramente, auspicabile che diventi legge (soprattutto se accompagnata da riforme, come dicevo sopra, volte ad evitare il ripetersi di errori e ad accertarne la responsabilità). Anni fa, su questo mio blog, scrissi un post proponendo, in ogni città, nelle vicinanze di quelle intitolate ai tanti Eroi morti nell’esercizio delle proprie funzioni, l’intitolazione di una via o piazza in memoria di chi, invece, è stato vittima di “gesta” non parimenti eroiche (cliccare qui per leggere il post).

Conservare e rinnovare la memoria di quanto accaduto costituirebbe un’ulteriore forma di rispetto verso i cittadini -e, in particolare, verso le vittime (anche quelle meno note o che hanno dovuto soffrire in silenzio)- e, proprio nel costituire un “ricordo” di casi che dovrebbero essere eccezionali, rafforzerebbe -e non, di certo, indebolirebbe- la fiducia che il cittadino deve avere nella Giustizia e in uno Stato, disponibile (oltre che a risarcire, per quanto ciò sia possibile laddove vi siano stati pregiudizi di carattere non patrimoniale) a riconoscere e a ricordare pubblicamente i propri errori. Limitarsi a ricordare il “caso Tortora” senza modifiche normative che impongano o rendano più agevole l’accertamento della responsabilità (civile, disciplinare o penale) dinanzi a un giudice terzo ed imparziale, significa volere restare allo stesso punto, pretendere di sostenere l’infallibilità del Giudice (come se fosse un dogma indiscutibile) e continuare a fare apparire come “unico”, “singolare” un caso, il più “famoso”, ma, purtroppo, anche il più emblematico di quanto può accadere a chiunque e, purtroppo, ripetutosi troppe volte anche ai danni di chi non aveva voce (“e“, come disse Tortora, “sono tanti, sono troppi“).

Dal sito dell’Ansa: Addio a Silvia Tortora, una vita nel nome della verità – Cultura & Spettacoli – ANSA

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Da Il Sole 24 Ore “Sì al sequestro dei beni della giudice sotto processo per aver pilotato i fallimenti”

Posted by Roberto Di Napoli su 9 gennaio 2020

Credo, purtroppo, che non sia un caso unico e isolato.

Pubblico di seguito il link di un articolo pubblicato sul sito de Il Sole 24 Ore del 6 novembre 2019

Sì al sequestro dei beni della giudice sotto processo per aver pilotato i fallimenti
— Leggi su amp.ilsole24ore.com/pagina/ACc2Gtw

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Riforma della prescrizione: alcune mie sommarie riflessioni su una legge che non appare compatibile con la tutela dei diritti fondamentali della persona

Posted by Roberto Di Napoli su 5 gennaio 2020

La riproduzione anche parziale del contenuto del blog è riservata. E’ consentita la riproduzione solo citando la fonte o il link del blog o del singolo post

Condivido fermamente -come, credo, ogni cittadino- la necessità che sia assicurata la punizione dei responsabili di qualunque reato. Pur consapevole della complessità del tema, credo che la riforma della disciplina della prescrizione, così come entrata in vigore, non sia affatto compatibile con uno Stato di diritto, soprattutto se non si vogliono chiudere gli occhi di fronte ai non pochi problemi in cui si trova il sistema della Giustizia in Italia, tra i quali anche (ma non solo) la durata dei processi.

Chi l’ha ritenuta o ritiene urgente, non conosce, forse, i non rari casi di malagiustizia e non ha riflettuto abbastanza sui casi di “errori” giudiziari. Ho letto e sentito che si ritiene intollerabile che – come, purtroppo, verificatosi in passato- vittime di reati, in alcuni casi, non possano ottenere Giustizia a causa della prescrizione. Premesso che una tale motivazione, pur potendo risultare efficace nell’attirare facilmente il consenso elettorale di quanti non conoscono la differenza tra la responsabilità penale e civile, sembra confondere l’interesse dello Stato (alla repressione e punizione dei reati) da quello delle vittime (la cui risarcibilità prescinde dall’eventuale declaratoria dell’intervenuta prescrizione del reato e i cui termini di prescrizione possono essere interrotti da un qualsiasi atto anche stragiudiziale), potrei anche condividere, in astratto, che l’istituto della prescrizione collide con la “certezza della pena“: è difficile sicuramente, per la persona offesa di un reato, tollerare che il responsabile non sia scalfito dalla sanzione anche penale prevista dall’ordinamento. Vorrei, però, che l’autore o i sostenitori della riforma rispondessero anche a qualche altra domanda: appare normale che vari politici, a volte anche costretti a dimettersi dalle cariche che ricoprivano e per le quali erano stati eletti, siano stati processati, arrestati, condannati e, poi, a distanza di anni, assolti? E se si ripetessero analoghi errori e, dopo un’erronea sentenza di condanna, restassero, a causa della disciplina della prescrizione così come recentemente riformata, sotto processo a vita? Appare compatibile una tale disciplina (in un sistema in cui, oltretutto, la legge sulla responsabilità dei magistrati non è esente da critiche e perplessità) con la Costituzione, con la legge e con la separazione dei poteri? E’ tollerabile che vi siano reati gravissimi che, pur nell’ipotesi in cui sia stato accertato “il fatto”, non siano puniti da chi dovrebbe reprimerli e punirli e ciò per ragioni ben diverse dalla prescrizione? E’ tollerabile che (accanto a tanti magistrati che sono e appaiono seri, preparati, onesti e integerrimi) vi siano giudici che sbagliano e, di fatto, quasi mai, puniti? Gli autori della riforma della prescrizione pare ignorino che vi sono stati alcuni casi di imputati prosciolti con provvedimenti, poi, annullati dai giudici dei gradi successivi ma che, nel frattempo, il decorso del tempo aveva determinato la prescrizione impedendo, così, la prosecuzione del processo. La prescrizione nel diritto penale non è un privilegio ne’ a causarla sono strategie dilatorie degli avvocati ne’, tantomeno, i giudici attenti e scrupolosi: è un istituto a garanzia della persona accusata che non può rimanere a vita sotto processo, soprattutto quando, per la durata trascorsa dal “fatto” e per il quale non vi è un accertamento definitivo della sua esistenza o della responsabilità dell’imputato, è venuto meno l’interesse dello Stato alla punizione. Credo che chi si voglia qualificare “Avvocato del popolo”, debba conoscere davvero ciò che il Popolo, formato dai cittadini che credono nello Stato e nelle Istituzioni, ogni giorno, può subire; al tempo stesso credo che qualsiasi riforma non possa prescindere dai diritti fondamentali della persona umana, tra i quali, oltre che la Costituzione, la CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: meglio specificare per chi non capisse cosa sia o dovesse confonderlo con il nome di qualche corso privato per esami professionali) sancisce quello di essere giudicati in un tempo ragionevole. La violazione di tale diritto non può, di certo, essere compensata solo con un indennizzo: non può tollerarsi che una persona umana resti sotto processo a vita. L’opportunità di una riforma della disciplina della prescrizione del reato, forse, sarebbe anche potuta essere condivisa ma non, a mio modesto parere, così come è stata prevista ed entrata in vigore che potrà, forse, risultare utile a fini “propagandistici” ed elettorali e per incantare quanti si limitano a guardare il dito e non la luna ma non, di certo, ad assicurare e garantire i diritti dei cittadini.

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“I giudici si allungano le ferie estive”. “E di conseguenza anche gli avvocati”??? Non mi pare.

Posted by Roberto Di Napoli su 7 giugno 2019

Con recente delibera del CSM -come riportato, giorni fa, da Italia Oggi e da altri quotidiani- che ha introdotto un “periodo cuscinetto” è stato disposto che i giudici non fisseranno udienze ordinarie dal 15 luglio al 7 settembre potendo, in tale periodo, essere trattati solo gli affari “urgenti ed indifferibili“.

Trovo non rispondente alla realtà –condividendo quanto rappresentato nei giorni scorsi dall’AIGA– l’affermazione contenuta in vari quotidiani e siti secondo cui “di conseguenza anche gli avvocati” potrebbero beneficiare di maggiori “ferie” a meno che, ovviamente, non si riferisca all’effetto indiretto della disposizione ossia che, nel suddetto periodo, gli stessi non sarebbero impegnati in udienze ordinarie (che, secondo quanto riportato, dunque, non verrebbero trattate). Resterebbero fermi, infatti (oltre alle udienze e ad ogni adempimento relativo alle tante materie non soggette a sospensione), i termini di scadenza degli atti che, come è noto, gli avvocati sono tenuti a rispettare per assicurare la difesa dei propri assistiti. Si ricorda, tra l’altro, che il periodo di sospensione feriale, originariamente previsto sin dalla legge n. 742/1969 per il periodo dal 1° agosto al 15 settembre, a decorrere dal 2015 (e precisamente in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 132/2014, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162) è stato ridotto di 15 giorni con la conseguenza che la scadenza dei termini processuali è ora sospesa -si ripete: per le sole materie soggette a sospensione- solo dal 1° al 31 agosto.

La modifica, che, a dire di alcuni politici, avrebbe dovuto comportare benefici per la durata dei giudizi non teneva nella dovuta considerazione, probabilmente, che moltissime materie non sono mai state oggetto di sospensione feriale (ad esempio: controversie in materia di lavoro, separazioni, alimenti, esecuzioni, opposizioni alle esecuzioni, fallimenti, giudizi di opposizione a sentenze di fallimenti, provvedimenti in materia di interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno, ecc.); non si considerava, inoltre, che, in tal modo, si sarebbe ulteriormente pregiudicato -così come, in effetti, si è compromesso- il diritto degli avvocati a godere di un periodo di effettivo riposo.

Circa due anni fa, ad agosto 2017, avevo scritto, su questo mio blog, alcune mie considerazioni sull’opportunità del ripristino del previgente periodo di sospensione feriale , aprendo anche una petizione online (tuttora attiva e che può essere ancora utilizzata sottoscrivendola).

La necessità della modifica, evidentemente, non è stata avvertita solo dal sottoscritto ma anche da altri avvocati visto che al Congresso Forense tenutosi a Catania nello scorso mese di ottobre sono state approvate varie mozioni per il ritorno al previgente periodo di sospensione. L’esigenza di reintroduzione dell’originario periodo di sospensione feriale è stata recepita, inoltre, nella proposta di legge n. 1427 presentata alla Camera dei Deputati il 7 dicembre 2018 (di iniziativa del deputato Cataldi) nella quale, tra le varie modifiche al codice di procedura civile, si prevede, all’art. 12, la sostituzione dell’attuale norma (art. 1 l. 742/1969) con il ripristino della sospensione, appunto, dal 1° agosto al 15 settembre.

E’auspicabile che la modifica sia approvata quanto prima affinché anche agli avvocati sia garantito un periodo di riposo che, di fatto, con l’attuale normativa, non può ritenersi effettivamente esistente.

Sorgente: I giudici si allungano le ferie estive – ItaliaOggi.it

Da Diritto24-Il Sole 24 Ore: “Giovani Avvocati all’attacco: su sospensione feriale tornare a vecchie regole” “https://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoCivile/2019-05-30/giovani-avvocati-attacco-sospensione-feriale-tornare-vecchie-regole-110238.php

Da Dire (Agenzia di stampa): Giovani avvocati: È caos per riforma ferie magistrati, tornare a sospensione fino a 15 settembre”.

Per leggere il mio post del 24 agosto 2017 “Petizione e raccolta di firme online per assicurare il diritto ad un effettivo periodo di riposo anche per gli avvocati” cliccare qui 

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A Cosenza i giardini davanti al Tribunale dedicati a Enzo Tortora. Auspicabile in ogni città l’intitolazione di strade pubbliche alle vittime di errori giudiziari

Posted by Roberto Di Napoli su 17 marzo 2018

La riproduzione anche parziale del contenuto del blog è riservata. E’ consentita la riproduzione solo citando la fonte o il link del blog o del singolo post

Circa dieci anni fa pubblicai, su questo blog, un mio commento dopo avere letto che, a Genova, non senza polemiche, era stata dedicata una galleria ad Enzo Tortora. Aggiungevo che si sarebbe dovuta sensibilizzare ancora di più l’opinione pubblica sui danni che può comportare un errore giudiziario e che, a mio avviso, in ogni città, nelle vicinanze di strade dedicate a magistrati, funzionari o cittadini caduti nell’adempimento dei propri doveri o per ragioni di servizio, sarebbe dovuta essere dedicata una strada anche a quei cittadini morti o che, comunque, hanno patito a causa di gesta non altrettanto eroiche da parte di soggetti che non hanno servito fedelmente la legge. Scrivevo, in particolare:In ogni città italiana dovrebbe esserci una delle vie o piazze principali dedicata a Tortora (a Roma, mi pare che via Enzo Tortora sia una strada periferica) e alle vittime di malagiustizia. (….) Giustissimo ricordare chi è morto al fine di assicurare la Giustizia. Non sarebbe, però, giusto ricordare anche chi è morto, chi ha sofferto o, comunque, ha pianto per un errore o per un uso distorto delle proprie funzioni da parte di soggetti che, per errore o con dolo, non si sono rivelati altrettanto eroi e, magari, sono ancora al loro posto manifestando un diverso senso della Giustizia, dello Stato e del rispetto delle leggi? Si può pensare che le vittime di “malagiustizia”, le loro famiglie soffrano meno o non rischino la vita? Solo chi non ha mai subito un sopruso o un’azione giudiziaria ingiusta, chi non ha mai letto un articolo di giornale può restare indifferente ed insensibile. E’ per questo che, secondo me, sarebbe più rispondente alla realtà di questo Paese se, in ogni città in cui vi sia una strada dedicata ad un magistrato o pubblico ufficiale che eroicamente ha sacrificato la propria vita, sia anche dedicata una strada o un monumento (in una zona della città altrettanto principale) alle vittime delle “gesta” meno eroiche di chi, per colpa, dolo o in buona fede, ha, comunque, fatto soffrire ingiustamente senza, tra l’altro, avere dimostrato, minimamente, di volere riparare il danno provocato (cliccare qui per leggere il post)

Apprendo solo ora, grazie a un post scritto da un amico su Facebook, che a Cosenza, nel 2013, i giardini antistanti il Tribunale sono stati dedicati a Enzo Tortora, esempio clamoroso di vita distrutta per “errore giudiziario” ma, purtroppo, non l’unico visto che troppe volte, ancora oggi, si leggono casi di persone seriamente danneggiate, economicamente e, a volte, anche fisicamente, dopo essersi dovute difendere da processi penali ma anche civili.

È auspicabile che analoghe iniziative siano replicate anche da altre amministrazioni comunali. Dopo quasi 35 anni dal “caso Tortora”, la cronaca ci ha ricordato e, purtroppo, registra ancora casi di detenuti assolti anche dopo 20 anni, di politici messi sotto inchiesta, distrutti politicamente e, poi, scagionati, storie di imprenditori accusati ingiustamente e, poi, dichiarati innocenti dopo avere perso beni e aziende, soggetti a cui hanno venduto tutti i propri beni malgrado le opposizioni contro crediti, in realtà, inesistenti. Sono risarcibili le sofferenze subite dalle vittime di errore giudiziario? Forse non sono nemmeno immaginabili. Chi restituisce gli anni, la salute -se non la vita- persa? La legge 117/1988 non si è rivelata, a quanto pare, sufficiente ed adeguata. Nella scorsa legislatura fu presentato un disegno di legge per restituire ai cittadini processati ingiustamente e, poi, assolti, quantomeno le spese legali affrontate: vedremo se la legislatura che sta per iniziare vorrà prendere atto del problema e fare approvare il progetto di legge.

L’intitolazione di piazze o strade alle “vittime di errori giudiziari” o l’introduzione di una giornata in loro memoria sarebbe, intanto, un significativo passo in avanti e un gesto di civiltà col quale lo Stato, piuttosto che negare o nascondere i danni provocati, onorerebbe quei suoi cittadini onesti rimasti vittime di un “apparato” che, in alcuni casi, si è rivelato evidentemente “difettoso” dimostrando quantomeno -sia pure, a volte, troppo tardi- di sapere chiedere scusa a quegli stessi soggetti che sono stati, tra l’altro, anche i suoi contribuenti.

Riporto di seguito il link ad un articolo pubblicato due anni fa sul sito internet del settimanale Panorama su alcune vicende paradossali patite da cittadini ingiustamente processati e sui danni economici subiti (articolo di M. Tortorella: “Sei innocente? Lo Stato deve pagarti l’avvocato” di cliccare qui)

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Dal sito Tgcom24 “Gestiva cause per conto di amici imprenditori, arrestato magistrato” 

Posted by Roberto Di Napoli su 11 dicembre 2017

Se i fatti dovessero risultare confermati con sentenza definitiva -visto che non può che valere nei confronti di chiunque il principio di presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva- si dovrebbe dare atto, in questo caso, dell’efficienza della Procura e degli investigatori sebbene ad essere indagato sia un magistrato. E’auspicabile che analoga attenzione sia posta sempre, ovunque, di fronte a fatti gravi : lo impone la necessaria fiducia che il cittadino deve avere nei confronti della Giustizia e la conferma che non ci devono e non ci possono essere soggetti “impunibili” o “irresponsabili”.

Pubblico di seguito la notizia e il link al sito Tgcom 24: Il giudice, in servizio a Reggio Calabria, ora è ai domiciliari. Per la Procura di Napoli riceveva varie utilità in cambio di sentenze favorevoli. Altre sei persone sono finite nell’inchiesta

Sorgente: Gestiva cause per conto di amici imprenditori, arrestato magistrato – Tgcom24

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Interessi di mora e verifica di usurarietà: un mio breve intervento andato in onda sulla Web Radio Ius Law

Posted by Roberto Di Napoli su 26 settembre 2016

Pubblico di seguito il link alla puntata odierna di “Svegliati Avvocatura“, andata in onda sulla Web Radio IusLaw, con un mio sia pur sintetico intervento in merito alla rilevanza degli interessi di mora ai fini della valutazione di usurarietà e alle conseguenze nel caso di superamento rispetto al tasso massimo consentito. Nel corso degli ultimi anni, infatti, -complice, probabilmente, la confusione creata, spesso, da vere e proprie società “abbagliate” dal desiderio di lucrare considerevoli profitti anche con la “vendita” di perizie fondate su metodologie di calcolo non corrette (se non abnormi) e sull’errata interpretazione di pronunce- si è registrato un contrasto sia in merito alla rilevanza degli interessi di mora (cosi come di altre voci di costo a carico del mutuatario) ai fini della valutazione di usurarietà sia alle sanzioni nel caso di accertato superamento del tasso soglia. Accanto a sentenze ed ordinanze che hanno confermato la rilevanza degli interessi moratori e, in caso di superamento del tasso soglia, l’applicabilità della sanzione di cui all’art. 1815, secondo comma, cod. civ., alcune pronunce, qualificando la clausola determinativa degli interessi di mora come una sorta di “clausola penale” o ritenendo di doversi applicare l’aggiunta di percentuali o di soglie (diverse da quelle previste dall’art. 2 della legge n. 108/1996), hanno negato, invece, l’applicabilità della suddetta norma sanzionatoria. Un contrasto, in realtà, a sommesso avviso di chi scrive, che non dovrebbe sussistere se si considera la ratio della legge 7 marzo 1996 n. 108 che modificò la norma di cui all’art. 644 cod. pen. e all’art. 1815, II comma, cod. civ. introducendo il “meccanismo” dei cosiddetti “tassi medi” e dei “tassi soglia” -all’interno della cui forbice, come riconosciuto da alcuni giudici, dovrebbe essere compreso ogni ulteriore costo per l’utente- e se si considera, inoltre, che il ritardato adempimento non dovrebbe, comunque, giustificare il superamento del tasso massimo consentito dalla legge.

Nel corso dell’intervento ho accennato anche a quanto recentemente riconosciuto dalla Corte d’Appello di Roma, con la sentenza del 7 luglio 2016, n. 4323.

Ho ricordato, infine, il corso sull’usura bancaria che fu organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, nel luglio 2014, presso la sede dell’ABI (tra i relatori ci furono noti difensori di banchieri) e l’invito che fu successivamente inviato dall’associazione Sos Utenti Onlus (che da oltre dieci anni si occupa di tutela di vittime di abusi bancari contribuendo all’affermazione di vari principi) ad organizzare seminari di formazione nel contraddittorio con legali o consulenti di utenti bancari.

Pubblico di seguito il link alla puntata odierna di “Svegliati Avvocatura” con il mio intervento (a partire dal minuto 27, 34”).

http://www.spreaker.com/embed/player/standard?episode_id=9488135

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Un senatore ad una suora: “Da oggi in poi comando io, se no vi piscio in bocca”. Sarebbe lo stesso soggetto che, nel 2011, pensava di trattare allo stesso modo le vittime di abusi bancari

Posted by Roberto Di Napoli su 13 giugno 2015

Pur con la solita e doverosa premessa che le frasi sono quelle riportate da organi di stampa e, dunque, col rispetto del principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, mi sembra evidente che se tali parole, insieme ai gravissimi fatti oggetto dell’accusa e della richiesta di arresto, dovessero trovare conferma in una sentenza definitiva costituirebbero, purtroppo, la conferma della cafonaggine, della cialtroneria e del delirio di onnipotenza che può caratterizzare perfino un parlamentare: frasi che non possono che rattristare ancora di più quei cittadini onesti alle prese con difficoltà economiche e sofferenze di cui soggetti simili, con i noti stipendi e benefici economici, abituati a vivere in uffici e ambienti ovattati, o non hanno la minima idea o se ne fregano.

Il nome del senatore che, tuttavia, nega di averle pronunciate (cliccare qui) e di cui la Procura di Trani ha chiesto al Senato l’autorizzazione all’arresto è ben noto alle vittime di abusi bancari per essere stato, nel 2011, autore di un emendamento alla legge di conversione del decreto “milleproroghe” col quale aveva pensato di modificare una norma del codice civile (art. 2935). L’articolo, rimasto invariato per quasi 70 anni, avrebbe dovuto prevedere un’interpretazione autentica secondo cui, in materia di conti correnti, la prescrizione delle annotazioni sarebbe dovuta iniziare a decorrere dal giorno delle annotazioni stesse. Non si sarebbe dato luogo, in ogni caso, alla restituzione degli importi già corrisposti.

Una norma, in sostanza, con cui si sarebbe voluto dichiarare la prescrizione del diritto alla restituzione di quanto pagato in più dai correntisti nel corso di rapporti ultradecennali e contrastante con quanto, invece, circa due mesi prima aveva affermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (con sentenza del 2 Dicembre 2010, n. 24418).

L’emendamento di Azzolini apparve subito un regalo alle banche tanto più che fu inserito “last minute” senza passaggio alle commissioni competenti e senza, dunque, che fosse preceduto da dibattito parlamentare (cliccare qui per leggere l’articolo sul sito de Il Corriere della Sera del 22 febbraio 2011).

Già all’indomani dell’entrata in vigore della legge, la norma, invocata dalle banche nel tentativo di ottenere l’accoglimento di eccezioni di prescrizione, fu ritenuta inapplicabile nei giudizi aventi ad oggetto la ripetizione degli importi indebitamente pagati (vedasi Corte d’Appello di Ancona, ord. 3 Marzo 2011). In seguito a varie ordinanze con cui era stata sollevata di questione di legittimità costituzionale, la Consulta ad Aprile 2012 la dichiarò incostituzionale (Corte Costituzionale, sent. 5 Aprile n. 78; per leggere il mio post su questo stesso blog, cliccare qui).

Un tentativo, dunque, non riuscito ma che, sicuramente, resta tra le norme -per fortuna, cancellata dalla Corte Costituzionale-con cui, grazie alla “brillante idea” del senatore Azzolini (secondo quanto riportato, all’epoca, da organi di stampa, fratello di un consigliere di amministrazione di istituti bancari) si era tentato di favorire, ancora una volta, le banche. Quella volta il senatore Azzolini dimostrò l’arroganza verso gli utenti bancari e quanto avevano deciso i giudici anche di legittimità cercando di introdurre una norma che avrebbe calpestato quanto era stato riconosciuto dalla giurisprudenza. Ora è accusato per avere arbitrariamente imposto il proprio potere su una struttura pubblica. Tra le frasi intercettate pare che avrebbe manifestato il proprio potere anche con una frase, di certo, “non onorevole”, volgare e scurrile (cliccare qui per leggere l’articolo su Il Fatto Quotidiano). Chissà se, nel 2011, non avrà pensato la stessa cosa nei confronti dei cittadini onesti, vittime di abusi bancari e dei giudici che, in materia di prescrizione sui rapporti di conto corrente, avevano manifestato un orientamento opposto a quanto avrebbe voluto! Allora, probabilmente, dimostrò il massimo favore verso il mondo bancario e la massima arroganza verso le vittime di abusi bancari continuando, tuttavia, ad occupare il seggio ed, anzi, riuscendo a farsi rieleggere nella legislatura successiva. Oggi è accusato, per gravi fatti, con una richiesta di arresti domiciliari. Potrebbe essere una buona occasione per riflettere maggiormente sul doveroso rispetto verso gli altri e, soprattutto, verso gli imprenditori e cittadini onesti.

In Parlamento, mentre c’è chi si è già espresso preannunciando di votare favorevolmente alla richiesta di arresto, non manca chi tenta di difenderlo. Opinione e comportamento, questi ultimi che, “in nome del garantismo”, potrebbero anche, in teoria, condividersi, in linea con l’opportunità di evitare l’adozione di misure cautelari quando non se ne ravvisi la necessità o non sussistano gravi indizi. Ma se indagato per il crac fosse non il senatore Azzolini (autore, come detto, nel 2011, di un emendamento “salva banche”) ma, ad esempio, un imprenditore fallito a causa del comportamento posto in essere da banche? Sarebbero così garantisti quei ministri o parlamentari che cercano di fare evitare gli arresti al loro (davvero onorevole?) collega? (cliccare qui)

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