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La riduzione della durata dei giudizi civili non deve comportare il rischio di una “giustizia sommaria”. Mie brevi e semplici considerazioni sulla predisposizione di bozze di provvedimenti da parte di soggetti diversi dal Giudice e sulla trattazione delle udienze

Posted by Roberto Di Napoli su 10 dicembre 2022

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Il tentativo di rendere più celere la definizione dei giudizi civili rappresenta il principale obiettivo a cui tende la riforma del processo civile così come predisposta dal Legislatore Delegato con il d.l.gs. 10 ottobre 2022, n. 149 di cui è prossima l’entrata in vigore. Strumentale a tale scopo è (o, forse, è stato ritenuto) anche il “potenziamento” dell’ufficio del processo (struttura già esistente e composta, oltre che da magistrati onorari di pace o tirocinanti, da altre figure professionali tra cui: coloro che svolgono la formazione professionale ex l. 111/2011, da personale delle cancellerie e laureati in giurisprudenza assunti a tempo determinato ex art. 11 d.l. 80/2021, conv. in l. 113/2021). Con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 151 ne sono state ampliate le competenze e si è prevista sua la costituzione non solo nei tribunali e corti d’appello, ma anche in altri uffici giudiziari. Il raggiungimento di un tale fine (così come la definizione dei processi penali in un tempo di durata ragionevole) è certamente condivisibile ed auspicabile. L’esame di alcune disposizioni della “neonata” riforma renderebbe opportuno, forse, però, anche un urgente intervento correttivo affinché l’ambizione (o illusione?) che il cittadino possa ottenere giustizia in tempi rapidi non comporti una “giustizia sommaria” con grave compromissione o negazione dello stesso diritto ad ottenere giustizia, nel pieno rispetto del contradittorio e all’esito di una “cognizione piena” dei fatti e delle prove allegati e prodotte dalle parti. La riduzione della durata dei giudizi è un obiettivo doveroso ed auspicabile ma non si può raggiungere con strumenti e modalità che aumentino il rischio di una giustizia sommaria o di una “non giustizia”: altrimenti, si farebbe prima ad eliminare qualsiasi possibilità di difesa e, sicuramente, il “giudizio” durerebbe pochissimo. Si è esaltato, forse, un po’ troppo il “potenziamento” dell’organico e delle funzioni dell’ufficio del processo senza che si sia sufficientemente riflettuto sull’opportunità e sui rischi di quanto previsto all’art. 5, lett. a) d.lgs. 151/2022 in cui si è introdotta la possibile “predisposizione di bozze di provvedimenti” da parte dei componenti l’ufficio (che, come sopra accennato, presso i tribunali, possono essere anche laureati in giurisprudenza assunti nell’ufficio o soggetti diversi da Giudici o magistrati tirocinanti). Mi domando: come potrà, il cittadino, essere sicuro che il provvedimento sia stato effettivamente visionato dal Giudice e sia frutto del suo attento esame del fascicolo? E’ vero, esiste l’appello, ma, a prescindere che una tale risposta sarebbe in contrasto con l’obiettivo della durata celere dei giudizi e della riduzione dei procedimenti, la stessa possibilità di redazione di bozze di provvedimenti da parte dell’ufficio del processo è prevista anche in quello che dovrebbe essere il giudizio di secondo grado (sebbene, dinanzi alla Corte d’Appello, al momento, i componenti dovrebbero essere Giudici ausiliari ex art. 62 d.l. 69/2013, conv. in l. 98/2013 i quali sono nominati tra soggetti diversi dai magistrati ordinari di ruolo) e, perfino, in Cassazione. Mi sembra un serio pericolo per la giustizia civile che non significa solamente recupero crediti di banche o imprese: significa assicurare al cittadino l’esercizio dei propri diritti e che non si possa dubitare che il provvedimento sia il risultato di un’effettiva conoscenza da parte del Giudice a cui il fascicolo è stato assegnato secondo le norme sulla precostituzione del Giudice naturale. I cittadini possono essere certi e devono credere, senza possibilità di dubitare, che il provvedimento sia davvero, sempre e unicamente, il risultato dell’attenta e infallibile cognizione del Giudice o che la competenza del Giudice sia trasmessa e trasmissibile in chi gli è accanto? E’ probabile, laddove vi sia un Giudice scrupoloso e attento e laddove vi siano altrettanto scrupolosi e attenti componenti dell’ufficio del processo: un’attenta e scrupolosa verifica da parte del Giudice di bozze di provvedimenti, laddove esse siano predisposte da “non giudici”, mi pare, però, un’attività poco compatibile con il fine di agevolare la celere emissione dei provvedimenti e potrebbe ritardare, piuttosto che accelerare, la definizione dei giudizi. Pur essendo, personalmente, contrario alla predisposizione di bozze di provvedimenti da parte di soggetti diversi dal Giudice, credo , tuttavia, che per contemperare l’esigenza di maggiore celerità dei giudizi, anche attraverso la collaborazione dell’ufficio del processo, con l’altrettanto imprescindibile necessità che il provvedimento (soprattutto, la sentenza o la decisione che definisce il procedimento) sia il risultato dell’attento studio o verifica da parte del magistrato, potrebbero essere suggeriti dei correttivi nel seguente senso: 1) il Giudice dovrebbe essere tenuto a dichiarare se il provvedimento è stato redatto con la collaborazione dell’ufficio del processo indicando i nomi dei componenti; 2) laddove il provvedimento sia impugnato, la verifica dei motivi dell’impugnazione non dovrebbe essere demandata a soggetti diversi dal Giudice decidente . Vi è, poi, un’altra disposizione della riforma che meriterebbe una immediata revisione (oltre ad altre pur necessarie) visto che entrerebbe in vigore già dal prossimo 1 gennaio. La discrezionalità attribuita al Giudice in merito alla prerogativa se trattare l’udienza “in presenza” o con trattazione scritta o in videocollegamento, a mio modesto parere, non sempre può rivelarsi uno strumento utile ad una corretta decisione e, dunque, ad evitare la prosecuzione del giudizio nei gradi successivi. Ci possono essere udienze nelle quali, effettivamente, è inutile la partecipazione personale dei difensori o nelle quali sono essi stessi a preferire la “trattazione scritta”. Continuo a credere, però (come ho scritto, nei mesi scorsi, in miei precedenti post su questo stesso blog), che è al difensore che dovrebbe essere riservata la scelta sulle modalità più confacenti alla difesa nel singolo caso: ci possono essere ragioni per le quali questi ritenga più utile “discutere” verbalmente, dinanzi al Giudice, in merito ad una determinata questione di fatto o di diritto, oppure, intenda replicare immediatamente al difensore di controparte, oppure, assumere alcune determinazioni che possano essere diverse a seconda della difesa avversaria. E’ sufficiente leggere la maggior parte di provvedimenti con i quali, finora, è stata disposta la “trattazione scritta” per potersi rendere conto di come sia prevista la sola redazione di “istanze e conclusioni”, senza nemmeno prevedersi la possibilità di replicare. La normativa emergenziale di cui al d.l. 34/2020, convertito in legge 77/2020, all’art. 221, comma quarto, prevedeva la possibilità, entro il termine di cinque giorni dall’adozione del provvedimento col quale è stata disposta la trattazione scritta, di chiedere la trattazione dell’udienza in presenza. Nella realtà, molti Giudici hanno ritenuto e ritengono che la richiesta sia valutabile discrezionalmente negando, molte volte, l’udienza “in presenza” (la prerogativa di fissare le udienze con modalità diverse dall’udienza in presenza è stata prorogata fino al 31 dicembre 2022, dunque, anche oltre il periodo di emergenza: fino a tale data si sono consentiti concerti, partite di calcio ma si è ritenuta pericolosa la trattazione di udienze “in presenza”). La riforma di cui al d.lgs. 149/2022 prevede l’introduzione, nel codice di procedura civile, dell’art. 127 ter con il quale il Giudice potrà sempre disporre che l’udienza sia celebrata in trattazione scritta (laddove non abbia disposto che sia tenuta in videocollegamento) “salvo opposizione” di una delle parti. La stessa norma, tuttavia, dispone che sull’opposizione il Giudice decida con decreto non impugnabile, ragion per cui la valutazione non potrà, di fatto, che essere discrezionale. Pur consapevole delle possibilità offerte dalla tecnologia e, in primis, dagli strumenti informatici, credo che il dialogo dinanzi al Giudice e nel contraddittorio “immediato”, in alcuni casi, sia insostituibile e, comunque, un effettivo esercizio del diritto e onere della difesa dovrebbe attribuire al solo difensore la scelta sulla modalità di trattazione dell’udienza nell’interesse del proprio assistito e, forse, anche della stessa Giustizia. Scriveva Chiovenda: “la libertà del convincimento … vuole l’aria e la luce dell’udienza. Nei labirinti del processo scritto essa si corrompe e muore”. Non sempre, poi, la nota di trattazione scritta si presta alla sinteticità e alla chiarezza al tempo stesso richieste dall’ordinamento e che debbano essere volte a soddisfare la domanda di Giustizia e a contribuire all’emissione di una pronunzia “giusta”. Insegnava Piero Calamandrei nell’ “Elogio dei giudici”: “Il processo si avvicinerà alla perfezione quando renderà possibile tra giudici e avvocati quello scambio di domande e risposte che si svolge normalmente tra persone che si rispettano, quando, sedute intorno a un tavolino, cercano nel comune interesse di chiarirsi reciprocamente le idee. Spezzando l’arringa di un dialogo, l’arte oratoria ci perderà: ma ci guadagnerà la giustizia”. Con la riforma, la sostituzione dell’udienza “orale” con una nota di trattazione scritta non spezzerà l’arringa di un dialogo: non vi sarà proprio. Sarà sostituito, semmai, da una nota scritta che, secondo il tenore letterale della norma, deve contenere le sole “istanze e conclusioni” nel rispetto di principi di sinteticità e chiarezza. Ma cosa significa sinteticità? Quali sono i limiti concretamente rispettabili? Credo, ancora, che la progressiva riduzione o scomparsa delle udienze dinanzi al Giudice civile di merito (dinanzi ai Giudici di Legittimità le udienze “in presenza” già da tempo sono un’eccezione), non potrà non influire sull’apprendimento, da parte degli stessi praticanti, dell’attività forense, dell’oratoria, delle strategie difensive o sulla conoscenza e il dialogo tra gli stessi avvocati nell’interesse dell’assistito ma anche del reciproco confronto e della crescita professionale di ciascuno.

Ritengo, insomma, che già questi due aspetti della riforma del processo civile, ossia, la predisposizione di bozze di provvedimenti da parte dell’Ufficio del processo, nonché, la stabilizzazione della possibilità della celebrazione delle udienze “in trattazione scritta” malgrado l’opposizione del difensore, possano costituire un non trascurabile pericolo per tutti i cittadini visto che così come il processo penale investe la libertà delle persone, quello civile può avere ad oggetto la vita stessa, l’alimentazione, la famiglia, la proprietà e, in sintesi, i diritti fondamentali di ogni soggetto.

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