Mi è capitato di leggere, su un quotidiano, la notizia di alcuni pubblici dipendenti di Gallipoli e Nardò, in provincia di Lecce, che sarebbero stati denunciati per truffa allo Stato. Sarebbero indagati in quanto, durante l’orario di lavoro, si sarebbero recati a svolgere attività del tutto personali dopo avere "timbrato il cartellino". Avevo paura che fatti del genere, in Italia, avessero acquisito una rilevanza paragonabile alla consuetudine data la loro diffusione e spesso, purtroppo, l’indifferenza collettiva. Pur con il massimo rispetto per la presunzione d’innocenza e sperando che l’opinione pubblica si astenga sempre dal giudicare soltanto sulla base di quanto si legge sui giornali o si ascolta in televisione visto che la realtà processuale è ben più complessa (e solo una lettura degli atti può consentire una valutazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi di qualche fattispecie penale), credo, però, che fatti simili meritino una continua riflessione sul malcostume presente in alcuni uffici pubblici dove lavorano, però, anche, in maniera ineccepibile, persone instancabili e lodevoli.
A prescindere dalla sussistenza, nel caso concreto, di elementi di colpevolezza (che, certamente, non è possibile desumere dai giornali), chiunque si sarà trovato, spesso, negli uffici pubblici, di fronte ad episodi che manifestano analogo malcostume e che dovrebbero suscitare analoga ripugnanza. Credo, ad esempio, che dovrebbe causare pari ribrezzo (ammesso che, ripeto, i fatti riportati dagli organi d’informazione trovino, poi, conferma nei provvedimenti giudiziari definitivi) l’abuso del telefono spudoratamente utilizzato, a volte, dall’impiegato pubblico, per scopi diversi da quelli consentiti.
E cosa si dovrebbe dire dei pacchi regalo posati sui tavoli o appoggiati per terra nei periodi in cui ricorre qualche festività? E’ vero. Saranno, certamente, “affari privati”. Doni ricevuti da amici che nulla hanno a che fare con le loro funzioni: perché, però, devono essere portati in ufficio? Perché bisogna suscitare il pur minimo dubbio sulla correttezza nell’amministrazione pubblica? Sono tenuti i pubblici funzionari ad osservare un minimo buon gusto? E dovrebbe essere piacevole vedere -se mai si vedessero- volanti della Polizia, vetture dei Carabinieri, dei Vigili o altre vetture di servizio (magari anche in zone pedonali), abbandonate in sosta, se gli agenti, magari pure in divisa, stessero prendendo il caffè, il cappuccino, il cornetto, il tramezzino o le patatine? Quanto dovrebbe durare la pausa loro consentita? Sarebbe permesso anche recarsi “a far merenda” in divisa e con l’autovettura della collettività? Credo che, al di là delle norme, debba esistere un minimo decoro. Dovrebbe esistere anche una coscienza civica che dovrebbe rifiutare ed impedire comportamenti -da parte di ogni pubblico dipendente- poco conformi con la delicatezza delle funzioni ricoperte. Al cittadino sono offerti gli strumenti per sporgere reclamo e, quando occorre, anche la denuncia. Ognuno di noi, se non vuole lamentarsi, dovrebbe avere, ad esempio, il coraggio di chiedere al dipendente di “abbassare la cornetta” del telefono quando non è utilizzato per fini “inerenti l’ufficio”; dovrebbe, poi, -sempre ad esempio e ragionando per assurdo: fatti del genere, in Italia, non è possibile che accadano- impedire che si utilizzi la fotocopiatrice per scopi altrettanto non tollerabili. Mi pare che esista un regolamento dei dipendenti pubblici nei rapporti con l’utenza affisso, spesso, anche sulle pareti dei corridoi. Non bisogna dimenticare, oltretutto, che esistono norme e organi disciplinari anche nel pubblico impiego.
Per quanto mi riguarda ho deciso che, d’ora in poi, in presenza di comportamenti del pubblico dipendente non conformi alle norme disciplinari, valuterò se segnalarlo agli organi competenti e, qualora dovessi essere convinto dell’abuso, sorveglierò che il reclamo non rimanga nel “cassetto”: qualora, invece, non facessi ciò, rifletterei prima di lamentarmi perché anch’io, con le mie omissioni, avrò contribuito a concedere lussi simili a mie spese. Roberto Di Napoli