Da circa un anno ho scoperto le svariate possibilità offerte da internet “a chi vuole parlare”. Il mondo dei blog viene criticato, a volte ingiustamente, per le sciocchezze che, a volte, si scrivono. Ma ciò è fisiologico in una democrazia. Spetta a chi legge o a chi ascolta “discernere”. Credo che sia, però, ancora peggio non avere la possibilità di parlare e di farsi sentire: soprattutto nei momenti più difficili. I blog, i siti internet, i quotidiani on line sono un’enorme ricchezza. Servono anche per conoscere ed essere informati su ciò che, per mille motivi (a volte giustificati, a volte meno “nobili”), i media tradizionali (radio, televisione, giornali) tacciono. Pur avendo, ciascuno, l’obbligo di non varcare i limiti imposti a tutela dell’onore e della reputazione altrui (visto che, in Italia, esistono ancora i cd. reati d’opinione), ritengo che le possibilità concesse dalla rete costituiscano la vera attuazione del diritto alla libera manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 della Costituzione. Chi non comprende l’importanza di questa risorsa –o non ne fa buon uso- deve sapere che se, un giorno, volesse far conoscere un dramma oppure un’idea o i motivi di una protesta, non è per niente facile, in mancanza di internet e di qualsivoglia strumento d’informazione, manifestare “il proprio pensiero” pubblicamente, al di fuori del proprio condominio. Se, poi, ci sono “fattori esterni” cui può dare fastidio una determinata voce o il contenuto, ci si accorgerà che dovrà lottare anche per potere parlare.
Fino all’anno scorso, volevo anche io far conoscere il dramma che stava vivendo la mia famiglia. Pensavo –e ne ho avuto conferma negli ultimi mesi- che la paradossale vicenda potesse servire anche per far capire quanto fosse –e sia- inefficiente il “sistema dell’antiusura” a causa, probabilmente, anche della scarsa informazione determinata, in molti casi, dalla rassegnazione delle vittime o dalla complessità di alcune vicende.
Tipica la risposta di molti giornalisti contattati telefonicamente (pur cavandomela col pc non conoscevo la potenza del mondo dei blog, delle email e dei quotidiani on line): “Mi mandi una sintesi e la ricontattiamo”. Tipica anche la risposta di parlamentari o giornalisti che avevo motivo di credere più sensibili (alcuni amici, d’altronde, sono come gli ombrelli: quando ti servono non li trovi mai): “Roberto, fammi una sintesi che la “giro” a chi si occupa di vicende simili”. Insomma: avevo capito che nessuno se ne sarebbe occupato. E’ probabile che, secondo il loro ragionamento, “la vittima calpestata dalla “malagiustizia” non fa più notizia”.
Qualcuno può pensare che, siccome l’art. 21 della Costituzione sancisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, chiunque, soprattutto in modo pacifico, possa scendere in mezzo alla strada con un cartellone. Invece, no. Neppure questo è scontato. Per essere “in regola” bisogna avvertire la Questura in anticipo: tre giorni prima, mi pare. Il 20 Settembre 2005, con l’aiuto di un mio amico collega che, più volte, aveva manifestato per la tutela delle vittime della strada, avevo iniziato a capire come si organizzi un sit-in. In quella circostanza, però, avevo avuto il tempo di avvertire la Questura, di stampare i manifesti e di procurarmi catene per incatenarmi simbolicamente. Prima lezione: se vuoi manifestare sotto qualche Palazzo (sede di qualche Istituzione) è difficile che la Questura ti autorizzi a stazionare –pure se sei solo o, comunque, in modo pacifico- a distanza inferiore a cento- duecento metri.
Come fai a farti notare da chi, talvolta, non vede le cose nemmeno con la lente d’ingrandimento? Questo ancora non l’ho capito. Protestai, con alcuni amici colleghi, in Via Arenula a distanza di vari metri dal Ministero della Giustizia (credo ancora nelle istituzioni e non condivido l’espressione di un comico che l’ha ribattezzato Ministero di Casta e Ingiustizia). Non ero ancora pratico di internet per cui soltanto Telenorba riprese il sit-in mandando in onda un servizio.
L’anno scorso, invece, a Settembre, il tempo correva veloce e volevo far conoscere quello che stava per capitare a Gallipoli. Volevo manifestare subito, senza, però, violare la legge e facendo conoscere il motivo della mia determinazione. Non facevo in tempo a farmi stampare i manifesti per cui mi armai di carta velina bianca, pennarelli, spago gommato e cartone. Iniziai lo sciopero della fame informando dei motivi vari giornali. Una giornalista de “Il Tempo” mi telefonò chiedendomi informazioni più dettagliate e, con grande pazienza, appuntò i punti principali della assurda vicenda. In pochissimi minuti e, tra l’altro, per telefono, la giornalista –pur non avendo fatto studi giuridici- comprese le assurdità della vicenda giudiziaria provocata dalle pretese di usurai ed estorsori “dai colletti bianchi”: per due giorni consecutivi, il quotidiano dedicò un servizio ed ebbi la prova dell’errore che avevo commesso ritenendo “più sensibili” coloro i quali avevo contattato precedentemente.
Ho imparato, poi, dicevo, che, se una persona vuole manifestare sotto la sede di qualche Istituzione, oltre a dovere informare la Questura con vari giorni d’anticipo (se non vuole incorrere in una contravvenzione), non può posizionarsi nelle immediate vicinanze. Esempio: volendo protestare sotto al Quirinale, la Questura mi avrebbe consentito il sit- in solo all’angolo tra Via del Mazzarino e via del Quirinale, ossia, in un posto perfetto per non farsi vedere nemmeno dai passanti; per protestare, invece, sotto al Ministero della Giustizia, il limite massimo di distanza è “Piazza Cadorna”, uno slargo su Via Arenula distante almeno cento metri dal Ministero. Insomma: ritenevo ridicolo ed inutile manifestare in un posto dove nessuno mi avrebbe ca…. capito! Rinunciai.
Non capisco come si possa conciliare il termine di preavviso con un’esigenza – come nel mio caso- che può sorgere da un momento all’altro. Una persona potrebbe essere vittima del più grande abuso e, ciononostante, subire i limiti alla libera manifestazione del pensiero. Quale ragione di ordine pubblico può prevalere nel caso di un sit-in organizzato con poche persone –se non da solo- sorvegliate da agenti col mitra? Niente da fare: bisogna avvisare con anticipo.
In meno di un anno, dopo avere fatto lo sciopero della fame e da quando ho creato questo mio modesto blog, della mia vicenda (sia pure in maniera sintetica e senza evidenziare molti altri abusi) si sono occupati giornali nazionali, telegiornali locali e nazionali e vari siti internet.
Ho letto su Panorama on line, in un articolo che invito a leggere (vi è anche un mio commento), che, grazie anche ad internet e ai blog, la magistratura ha aperto un’inchiesta sfociata, finora, nel rinvio a giudizio di vari poliziotti accusati di avere provocato la morte di Federico Aldovrandi; sempre attraverso i blog si è offerto sostegno a molte altre vittime. L’indifferenza, quindi, vince se prevale il silenzio. Chi legge alcune storie su internet è difficile, però, che resti a guardare o che cambi …… indirizzo. Interessante anche lo spazio “virtuale” concesso da Radio Radicale in cui chiunque, aprendo un blog, può “fare notizia” o, addirittura, quello su Tocque-ville “la città dei liberi”. Per non parlare delle infinite possibilità, per i professionisti e, soprattutto, per gli avvocati, di aggiornarsi.
Alcuni temono che internet possa fare perdere il contatto con la realtà o che chi navighi si affezioni alle amicizie virtuali isolandosi dal mondo reale. Nel mio piccolo, grazie anche alla maggiore facilità nel far conoscere la mia esperienza attraverso questo blog, in meno di un anno, ho conosciuto e fatto vera amicizia con alcuni allievi del prof. Franco Tritto a cui i miei amici hanno dedicato un sito straordinario degno di una persona, altrettanto, straordinaria (lo dimostra il ricordo che hanno conservato gli allievi); ho conosciuto (e spero, presto, di conoscerli anche personalmente) il gruppo di amici di Savona vittime, anch’essi, di un’ordinaria ingiustizia; Emidio Orsini che considero un “alleato” nella lotta contro l’usura bancaria; un commercialista di Sora, anch’esso vittima di usura ed estorsione bancaria; ho conosciuto, poi, anche la tragedia raccontata, nel suo sito, da Antonella, anch’essa vittima di usura e isolata dallo Stato; Franca Corradini che, pur non avendo avuto, ancora, il piacere di conoscerla personalmente, ha dedicato, al mio caso e a quello di tante altre vittime di usura, una puntata della sua trasmissione radio oltre a vari articoli sul blog “laconoscenzarendeliberi”; altri, ancora, continuando a leggere le mie –forse, a volte, banali e ripetitive- considerazioni mi fanno compagnia e hanno aumentato il numero dei miei veri amici. E’ dell’informazione, forse, che ha paura chi tenta di limitare i blog con appositi disegni di legge o chi, qualche volta, ha impedito ai giornalisti di assistere a vari abusi. Roberto Di Napoli


















Non so se si tratti di una mia sensazione personale, oppure, se sia normale che capiti a chi ha avuto la "fortuna" di subire, almeno una volta nella vita, tristi giornate: a me, però, il Natale non riempie più di gioia. Anzi: mi rattrista. Non capisco come si possa, in Italia, conciliare una Festività che dovrebbe essere ricca di significati con l’indifferenza quotidiana che, puntualmente, (anche, a volte, nelle famiglie) riprende dopo le feste.
Nel corso dell’edizione delle 20 del 
Il 18 Ottobre del 2006 lo sapevo che la mia famiglia, il giorno dopo, avrebbe, quasi sicuramente, perso il possesso della casa in cui io sono “nato”, salvo, come, ancora, auspichiamo, recuperarla all’esito dei giudizi. Ero, certamente, nervoso ma non disperato. Credo di sapere e dovere distinguere le situazioni di “fatto” da quelle di “diritto”. Le prime mi turbavano, ancora una volta, perchè conoscevo "il contesto" e "i precedenti"; perchè è da quando avevo 11 anni che ho visto che si può essere sparati con una pistola e, successivamente, se si insiste nella punizione dei responsabili, fornendo prove o indizi ai fini della loro individuazione, che si può essere sparati, una seconda volta, anche con l’inchiostro: da parte di chi pensavi ti tutelasse e, invece, procioglie i presunti mandanti non solo mettendoti sotto processo ma, pur dopo essere stato accertato che la fonte di prova non era affatto manomessa, non continuando (riaprendo) nemmeno le indagini per scoprire chi voleva farti fuori! Ho visto che si possono (e un cittadino dovrebbe avere il dovere) chiamare le Forze dell’ordine affinchè impediscano la fissazione di reti metalliche da parte di chi intenda ostacolare l’accesso lungo la battigia e, poi, che tu stesso sia denunciato per minacce salvo, poi, essere assolto in Cassazione …. perchè il fatto non sussiste. Ho capito che questo botta e risposta, questo triste "ping-pong", questo rovesciamento della realtà può ripetersi per 22 volte e per 22 volte puoi avere ragione. Ma, solo, sulla carta perchè, se continui a dare fastidio, a fare il "guastafeste", il "gioco" ricomincia e il cattivo giocatore, l’imbroglione, pur sapendo di perdere, cercherà di farti capire che tu sai difenderti col diritto ma lui sa distruggerti di fatto! Questo è il "sistema" che ho visto a Gallipoli, la bella città, e a Lecce, la "patria del balocco"! E’ per questo che, anche il 18 Ottobre 2006, immaginando quello che si sarebbe verificato, continuavo a tenere distinto il "fatto" dal "diritto" che, come finora avvenuto, grazie ad altrettanti magistrati imparziali, spero riemerga ancora una volta . E’ il senso di legalità che mi imponeva di ragionare, di ascoltare, di parlare e fare verbalizzare. Sapevo, però, che quest’ultima attività –sebbene, apparentemente, la più facile- sarebbe stata la più delicata e la più difficile. Pensavo, poi, ingenuamente, che ci sarebbero stati anche testimoni a nostro favore: chi sa di comportarsi secondo legge, non dovrebbe avere paura di verbalizzare ciò che accade e di lasciare che gli altri, semplicemente, guardino e ascoltino. Ciò che ho visto e capito nei miei trent’anni di vita, penso che l’abbiano visto in pochi: non me ne vanto e non ne sono fiero! E’ per questo che, più che preoccupato, ero preso dalla rabbia nel pensare che, forse, quella sera del 18 Ottobre, mentre io non riuscivo a prendere sonno durante il viaggio sulla lussuosa …. autolinea "Marozzi" da Roma per Gallipoli, qualcuno si stesse organizzando per compiere ogni gesto, ogni attività pur di “non dare ascolto a Di Napoli”. Ed, infatti, non mi sbagliavo! Il precedente 25 Settembre, a casa mia, c’erano vari amici, -avvocati e non-, di mio padre e di mia sorella. Una giornalista di Telenorba aveva anche fatto un’intervista alla vittima che faceva vedere i provvedimenti in virtù dei quali l’esecuzione per rilascio non poteva essere proseguita. Uscita fuori, la cronista, però, è stata “intervistata” da un tale che indossava la divisa di Carabiniere; quest’ultimo soggetto intimava di consegnargli la videocassetta o, altrimenti, avrebbe sequestrato la telecamera. Sosteneva di fare il suo dovere? Da avvocato mi domandavo –me lo domando tuttora- quali potessero essere i presupposti. So, però, che la giornalista stava esercitando il suo diritto di cronaca. Ho avuto modo di constatare che, evidentemente, ha fatto anche, molto bene, il suo dovere perché il servizio fu mandato in onda quando ancora l’esecuzione era in corso. Il successivo 19 Ottobre, invece, a casa mia non c’era nessuno. Vari amici, materialmente lontani, mi erano vicini telefonicamente e col pensiero; altri, invece, compreso qualche rappresentante di associazioni antiusura locali e altri giornalisti sono venuti e volevano assistere –silenziosamente- allo “scandalo”. Volevano assistere e verificare se, davvero, una vittima, attualmente persona offesa nei processi penali per usura ed estorsione, con le stampelle a causa di
Immaginavo, quindi, che nei confronti della mia famiglia non si sarebbe avuta pietà né, d’altronde, l’avremmo mai chiesta. Pretendevamo, però, lo pretendiamo tuttora e lo pretenderemo sempre, il pieno rispetto della legalità. Ci sono norme che disciplinano l’attività di esecuzione per rilascio di immobili. E’ doveroso osservarle e farle osservare. Ripeto: in questo caso si sostiene (ci sono giudizi in corso) l’invalidità dello stesso titolo (la vittima, tra i vari motivi, sostiene che il giudice che ha venduto avrebbe avuto l’obbligo di astenersi o di essere sostituito in accoglimento di istanze di ricusazione). Pur prescindendo da ciò, ritengo, comunque, “SCANDALOSO” che, a Gallipoli, non si sia rispettato il provvedimento reso dal Prefetto di Roma, dal Presidente del Tribunale di Roma -“sentito” il Procuratore della Repubblica- che concordavano nella concessione del beneficio. Perché? Perché la famiglia Di Napoli non poteva beneficiarne? Quali sono gli unici presupposti? Un giudice dell’esecuzione del Tribunale di Marsala, mesi fa, in un caso -per molti aspetti- simile (pur se, contrariamente al “caso Di Napoli”, non è stato chiesto, ancora, il rinvio a giudizio degli usurai ed estorsori), ha dimostrato la massima imparzialità e serenità: premesso che la vittima aveva chiesto l’accesso al Fondo antiusura; che aveva ottenuto il parere –identico a quello ottenuto da Di Napoli Luigi- da parte dell’autorità giudiziaria ed amministrativa e che, solo questi, sono i presupposti richiesti dalla legge, si è pronunciato, testualmente, così: “dichiara sospesa la procedura esecutiva”. Perché la famiglia Di Napoli, invece, doveva essere sbattuta fuori casa? I medici intervenuti, dal momento che Di Napoli ha la staffa metallica ed il femore spezzato in due parti, non volevano assumersi la responsabilità di trascinarlo con la forza se non dopo avere effettuato degli accertamenti radiologici! Perché lo hanno fatto, da soli, i poliziotti e i Carabinieri??? Con quali competenze medico-scientifiche? Perché lo hanno fatto urlare di dolori fino a farlo entrare in stato catatonico facendolo risvegliare dopo oltre 6 ore? Un parlamentare, l’anno scorso, pur non conoscendo né me né la mia famiglia,
Oggi sono profondamente commosso per l’efficienza dello Stato nella lotta all’usura e all’estorsione. Ho letto su Lecce Prima.it (quotidiano on line), all’indirizzo
Giustizia Giusta, la famosa associazione per la difesa della giustizia presieduta da Mauro Mellini, ancora una volta, ha proposto un’iniziativa a cui, ovviamente, ho già aderito: