
Ho letto e leggo tutti i giorni storie assurde di malagiustizia, di vittime di usura, di estorsione e, in genere, di persone calpestate o abbandonate dalle stesse Istituzioni nella cui presenza e funzionamento avevano confidato.
Un Paese che, prima, impone il rispetto delle norme ed invita a denunciare chi le violi e, poi, anche per un solo momento (o, come si verifica spesso, per anni o decenni) lascia nella disperazione le vittime è uno Stato che, di fatto, si comporta come un “vigliacco”.
Ho scritto, più di una volta, in questo e in altri blog, mie sensazioni, opinioni personali e tristi esperienze di malagiustizia.
Sono convinto, però, che l’Italia sia rappresentata anche da persone perbene, da magistrati scrupolosi che lavorano con passione e da agenti delle Forze dell’Ordine che rispettano e fanno rispettare la legge da chiunque.
Ritengo doveroso, quindi, ricordare non solo gli episodi tristi o le “gesta” di qualche impiegato “Furioso” che perde il senno o lo utilizza per turpi scopi personali, ma anche l’attività, gli atti eroici o normali (ma che, in un sistema distorto, appaiono eroici) di chi, invece, lavora con serietà (è, ovvio, comunque, che errare humanum est e poche parole si possono dire quando l’errore è commesso in buona fede e si adoperi per porre rimedio).
Ho preso atto, in più di un’occasione, per fare un esempio, della professionalità ed immagine di imparzialità di vari magistrati del Tribunale di Latina. Chi, pur giovane come me, ha assistito ad atti, quantomeno, "singolari" e, sentendosi particolarmente vicino alle vittime di usura ed estorsione, ha notato quanto sia difficile la loro tutela quando tali delitti siano commessi non dal "delinquente di strada" ma dal cravattaro “in giacca e cravatta”, apprezza ancora di più la serietà ed imparzialità di quei magistrati che, oltre ad essere onesti, lo appaiono.
Ecco un recente caso di giustizia "normale", o, meglio (ricordando il nome di un’associazione di cui apprezzo moltissimo l’attività), di giustizia giusta: una società, nell’Agosto 2005, si rivolge a me e al mio amico collega avv. Federico Bianchi per instaurare una causa, a Latina, nei confronti del più importante istituto di credito italiano al fine di ottenere la restituzione di quanto illegittimamente addebitatole nel corso di un lungo rapporto di conto corrente. Prima ancora della udienza di prima comparizione delle parti, purtroppo, muore un socio amministratore e la causa si interrompe. La banca, senza alcuno scrupolo, nelle more della riassunzione, "bussa ad un’altra porta" proponendo ricorso per decreto ingiuntivo “inaudita altera parte” al fine di ottenere le somme da essa vantate nei confronti di quella stessa società che, mesi prima, l’aveva convenuta in giudizio. Ottiene il provvedimento senza accennare, ovviamente, alla causa già pendente nè al fatto che ogni singola clausola contrattuale da cui traeva origine il presunto credito era stata contestata. Anzi: menziona la pendenza di alcune ipoteche volontarie (alcune anche per mutui, con quella stessa banca, estinti tanti anni fa) a carico della società (solo apparentemente) debitrice in modo da ottenere il titolo provvisoriamente esecutivo e, intanto, sfuggire all’immediato contraddittorio. In seguito alla notifica del titolo alla nostra assistita, proponiamo opposizione e la procedura, anche al fine di decidere sulla riunione da noi richista, viene assegnata alla stessa giudice designata a trattare la causa a cognizione piena da noi preventivamente instaurata. Chiediamo, oltre alla riunione delle cause, l’immediata sospensione della provvisoria esecutorietà per vari motivi esposti in oltre trenta pagine di opposizione. Il giudice concede termine per note ma, all’esito, nega la sospensione ritenendo che le somme vantate dalla banca non fossero state contestate. Nell’atto di opposizione, invece, era stata contestata ogni singola clausola, negata la fondatezza di ogni pretesa creditoria e chiesta (si dice: in via riconvenzionale) la condanna della banca alla restituzione degli importi spettanti alla società. Le cause vengono, tuttavia, riunite come da noi richiesto e rinviate ad Ottobre 2007.
Nel frattempo la banca avrebbe potuto iniziare un’esecuzione ritenendosi creditrice di oltre duecentotrentamila euro. Proponiamo, allora, un ricorso per provvedimento d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. in corso di causa al fine di ottenere (così come riconosciuto ammissibile da alcuni giudici), previa consulenza tecnico-contabile, l’immediata restituzione delle somme indebitamente corrisposte dalla società correntista. Insistiamo, inoltre, nella revoca dell’ordinanza con cui era stata negata la sospensione chiedendo, altresì, vari provvedimenti, quali la cancellazione delle segnalazioni “a sofferenza” alla Centrale Rischi, al fine di evitare che la società, fino all’esito della causa, fosse ulteriormente pregiudicata.
L’udienza si è tenuta il 1° Agosto 2007. La banca sosteneva l’inammissibilità della domanda di revoca dell’ordinanza che, negandola, aveva già deciso sulla sospensione. Il giudice, invece, pur non concedendo gli ulteriori provvedimenti d’urgenza richiesti (ritenendo che la complessità della vicenda non consentisse la trattazione col ricorso al procedimento ex art. 700 cod. proc. civ.), ha revocato, accogliendo le nostre richieste ed eccezioni, la precedente ordinanza e, “per gli effetti”, sospeso la provvisoria esecutorietà del titolo.
E’ molto interessante la motivazione nella quale il giudice ha, espressamente, ricordato come la non modificabilità o revocabilità dell’ordinanza che decide sulla sospensione, si riferisce soltanto al provvedimento col quale sia stata già concessa la sospensione (che sarebbe, appunto, non modificabile) e non, come era avvenuto nel caso di specie, all’ordinanza con la quale sia stata negata.
Provvedimenti del genere, oltre ad incoraggiare il cittadino che deve continuare ad avere fiducia nella giustizia, confermano l’equilibrio di cui deve essere dotato ogni magistrato. Quel giudice ha dimostrato di avere esaminato con attenzione –pure ad Agosto– le eccezioni, le richieste della piccola impresa, la “fondatezza” della pretesa della banca e dei pericoli prospettati da entrambe le parti.
Non deve mai essere dimenticato, infatti, che “titoli” agevolmente ottenuti “inaudita altera parte” sottacendo circostanze importanti che, probabilmente, ne avrebbero impedito la concessione, hanno determinato, in tanti casi, la distruzione di imprese essenziali, invece, all’economia nazionale o la compromissione della salute, della vita, della serenità di tante persone e di tante famiglie.
I procedimenti sommari sono previsti dal codice di rito e hanno una struttura e funzione tale da garantire, comunque, la difesa. La giustizia sommaria, intesa come “giustizia” superficiale e disattenta alla tutela di entrambe le parti, invece, tutto è tranne che giustizia: è arbitrio.
Il giudice che, nell’ambito di un procedimento d’urgenza, ha revocato la sua stessa precedente ordinanza dopo avere valutato la fondatezza delle eccezioni delle parti, ha dimostrato di essere un giudice in grado di esercitare con serietà e imparzialità le proprie funzioni: quelle di ius dicere, di fare giustizia. Roberto Di Napoli
Ringrazio gli amici di Giustizia Giusta per avere pubblicato questo post.
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Questo cartello l’ho trovato affisso sulla parete di un corridoio di un ufficio giudiziario. Non ci sarebbe nulla di strano, a mio avviso. Agevolazioni sono previste da banche, assicurazioni e chissà quante altre imprese a favore di tante categorie di professionisti. L’impresa, nell’esercizio della sua attività, è libera di determinare le condizioni economiche da applicare alla clientela così come meglio ritiene (sia pure, ovviamente, entro determinati limiti). Il professionista è altrettanto libero di accettare. Non vedrei niente di strano, dunque, in simili agevolazioni. Mi chiedo, però: se il giudice, un giorno, dovesse giudicare in una causa nella quale sia parte la stessa banca di cui è cliente o, addirittura, delle cui agevolazioni lui stesso usufruisca, è giusto che possa non astenersi? Un simile comportamento sarebbe idoneo a garantire il prestigio e l’immagine di trasparenza ed imparzialità di cui deve godere il magistrato? L’art. 51 del codice di procedura civile disporrebbe (dirò subito perché uso il condizionale):
Nel corso dell’edizione delle 20 del 
Il 18 Ottobre del 2006 lo sapevo che la mia famiglia, il giorno dopo, avrebbe, quasi sicuramente, perso il possesso della casa in cui io sono “nato”, salvo, come, ancora, auspichiamo, recuperarla all’esito dei giudizi. Ero, certamente, nervoso ma non disperato. Credo di sapere e dovere distinguere le situazioni di “fatto” da quelle di “diritto”. Le prime mi turbavano, ancora una volta, perchè conoscevo "il contesto" e "i precedenti"; perchè è da quando avevo 11 anni che ho visto che si può essere sparati con una pistola e, successivamente, se si insiste nella punizione dei responsabili, fornendo prove o indizi ai fini della loro individuazione, che si può essere sparati, una seconda volta, anche con l’inchiostro: da parte di chi pensavi ti tutelasse e, invece, procioglie i presunti mandanti non solo mettendoti sotto processo ma, pur dopo essere stato accertato che la fonte di prova non era affatto manomessa, non continuando (riaprendo) nemmeno le indagini per scoprire chi voleva farti fuori! Ho visto che si possono (e un cittadino dovrebbe avere il dovere) chiamare le Forze dell’ordine affinchè impediscano la fissazione di reti metalliche da parte di chi intenda ostacolare l’accesso lungo la battigia e, poi, che tu stesso sia denunciato per minacce salvo, poi, essere assolto in Cassazione …. perchè il fatto non sussiste. Ho capito che questo botta e risposta, questo triste "ping-pong", questo rovesciamento della realtà può ripetersi per 22 volte e per 22 volte puoi avere ragione. Ma, solo, sulla carta perchè, se continui a dare fastidio, a fare il "guastafeste", il "gioco" ricomincia e il cattivo giocatore, l’imbroglione, pur sapendo di perdere, cercherà di farti capire che tu sai difenderti col diritto ma lui sa distruggerti di fatto! Questo è il "sistema" che ho visto a Gallipoli, la bella città, e a Lecce, la "patria del balocco"! E’ per questo che, anche il 18 Ottobre 2006, immaginando quello che si sarebbe verificato, continuavo a tenere distinto il "fatto" dal "diritto" che, come finora avvenuto, grazie ad altrettanti magistrati imparziali, spero riemerga ancora una volta . E’ il senso di legalità che mi imponeva di ragionare, di ascoltare, di parlare e fare verbalizzare. Sapevo, però, che quest’ultima attività –sebbene, apparentemente, la più facile- sarebbe stata la più delicata e la più difficile. Pensavo, poi, ingenuamente, che ci sarebbero stati anche testimoni a nostro favore: chi sa di comportarsi secondo legge, non dovrebbe avere paura di verbalizzare ciò che accade e di lasciare che gli altri, semplicemente, guardino e ascoltino. Ciò che ho visto e capito nei miei trent’anni di vita, penso che l’abbiano visto in pochi: non me ne vanto e non ne sono fiero! E’ per questo che, più che preoccupato, ero preso dalla rabbia nel pensare che, forse, quella sera del 18 Ottobre, mentre io non riuscivo a prendere sonno durante il viaggio sulla lussuosa …. autolinea "Marozzi" da Roma per Gallipoli, qualcuno si stesse organizzando per compiere ogni gesto, ogni attività pur di “non dare ascolto a Di Napoli”. Ed, infatti, non mi sbagliavo! Il precedente 25 Settembre, a casa mia, c’erano vari amici, -avvocati e non-, di mio padre e di mia sorella. Una giornalista di Telenorba aveva anche fatto un’intervista alla vittima che faceva vedere i provvedimenti in virtù dei quali l’esecuzione per rilascio non poteva essere proseguita. Uscita fuori, la cronista, però, è stata “intervistata” da un tale che indossava la divisa di Carabiniere; quest’ultimo soggetto intimava di consegnargli la videocassetta o, altrimenti, avrebbe sequestrato la telecamera. Sosteneva di fare il suo dovere? Da avvocato mi domandavo –me lo domando tuttora- quali potessero essere i presupposti. So, però, che la giornalista stava esercitando il suo diritto di cronaca. Ho avuto modo di constatare che, evidentemente, ha fatto anche, molto bene, il suo dovere perché il servizio fu mandato in onda quando ancora l’esecuzione era in corso. Il successivo 19 Ottobre, invece, a casa mia non c’era nessuno. Vari amici, materialmente lontani, mi erano vicini telefonicamente e col pensiero; altri, invece, compreso qualche rappresentante di associazioni antiusura locali e altri giornalisti sono venuti e volevano assistere –silenziosamente- allo “scandalo”. Volevano assistere e verificare se, davvero, una vittima, attualmente persona offesa nei processi penali per usura ed estorsione, con le stampelle a causa di
Immaginavo, quindi, che nei confronti della mia famiglia non si sarebbe avuta pietà né, d’altronde, l’avremmo mai chiesta. Pretendevamo, però, lo pretendiamo tuttora e lo pretenderemo sempre, il pieno rispetto della legalità. Ci sono norme che disciplinano l’attività di esecuzione per rilascio di immobili. E’ doveroso osservarle e farle osservare. Ripeto: in questo caso si sostiene (ci sono giudizi in corso) l’invalidità dello stesso titolo (la vittima, tra i vari motivi, sostiene che il giudice che ha venduto avrebbe avuto l’obbligo di astenersi o di essere sostituito in accoglimento di istanze di ricusazione). Pur prescindendo da ciò, ritengo, comunque, “SCANDALOSO” che, a Gallipoli, non si sia rispettato il provvedimento reso dal Prefetto di Roma, dal Presidente del Tribunale di Roma -“sentito” il Procuratore della Repubblica- che concordavano nella concessione del beneficio. Perché? Perché la famiglia Di Napoli non poteva beneficiarne? Quali sono gli unici presupposti? Un giudice dell’esecuzione del Tribunale di Marsala, mesi fa, in un caso -per molti aspetti- simile (pur se, contrariamente al “caso Di Napoli”, non è stato chiesto, ancora, il rinvio a giudizio degli usurai ed estorsori), ha dimostrato la massima imparzialità e serenità: premesso che la vittima aveva chiesto l’accesso al Fondo antiusura; che aveva ottenuto il parere –identico a quello ottenuto da Di Napoli Luigi- da parte dell’autorità giudiziaria ed amministrativa e che, solo questi, sono i presupposti richiesti dalla legge, si è pronunciato, testualmente, così: “dichiara sospesa la procedura esecutiva”. Perché la famiglia Di Napoli, invece, doveva essere sbattuta fuori casa? I medici intervenuti, dal momento che Di Napoli ha la staffa metallica ed il femore spezzato in due parti, non volevano assumersi la responsabilità di trascinarlo con la forza se non dopo avere effettuato degli accertamenti radiologici! Perché lo hanno fatto, da soli, i poliziotti e i Carabinieri??? Con quali competenze medico-scientifiche? Perché lo hanno fatto urlare di dolori fino a farlo entrare in stato catatonico facendolo risvegliare dopo oltre 6 ore? Un parlamentare, l’anno scorso, pur non conoscendo né me né la mia famiglia,
Oggi sono profondamente commosso per l’efficienza dello Stato nella lotta all’usura e all’estorsione. Ho letto su Lecce Prima.it (quotidiano on line), all’indirizzo
Giustizia Giusta, la famosa associazione per la difesa della giustizia presieduta da Mauro Mellini, ancora una volta, ha proposto un’iniziativa a cui, ovviamente, ho già aderito: